Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

martedì 22 febbraio 2011

I limiti di Marchionne, analisi scema del suo discorso alla Camera

Ho terminato di leggere il discorso che Marchionne ah fatto alla Camera il 15/02/2011.
E’ molto interessante.
E’ farcito di dati numeri, investimenti, percentuali ecc ecc ma qua e là si ritrovano elementi molto più profondi ed utili di semplici numeri.
Qualcuno ha detto che gli uomini creano i numeri e non il contrario, fra le righe Marchionne lo ribadisce fortemente.
Non è un gran comunicatore e non mi spiace particolarmente non aver il video ma solo il testo.
Questo mi ha permesso di scovare alcuni riferimenti interessanti.
Doverosa premessa, non conosco la situazione FIAT attuale e non ho conoscenze e competenze per analizzare quello che è stato proposto per lo sviluppo.
Mi limito ad altre osservazioni.
Alcuni aspetti sono interessanti perché ci spiega cosa significa operare in un mercato globale, dove servono più teste, dove ci devono essere autonomie locali ma dove ci sono politiche e sviluppi comuni. Però è una Corporate che detta le politiche che vengono recepite e gestite in autonomia, non è l’Italia. Se l’Italia saprà essere corporate tanto meglio.
Aprirsi all’estero non vuol dire spostare il baricentro, vuol dire allargarlo e un baricentro più largo in genere è più stabile.
Poi Marchionne fa continui riferimenti alla ricchezza umana che ha FIAT, dice che negli anni ha sviluppato risorse umane che adesso sono la garanzia per il futuro. Dice che FIAT è condivisione di valori, di un sogno e ci spiega anche quali sono questi valori e questo sogno. Non lo dice per dire, li ha ben chiari i valori dell’azienda e li usa come arma e come scudo, sempre.
Fin qui tutto molto bello.
Poi però comincia a dire che per risolvere i problemi bisogna tirarli fuori dai cassetti, dice che le scelte che si fanno hanno per forza a che fare con qualcosa di personale e con le emozioni.
E questi credo siano concetti un po’ più lontani dal sistema Italia.
Non tanto il risolvere i problemi, quanto il tirarli fuori, questo è “rivoluzionario”. Guardiamoli in faccia e “mangiamoci i problemi”, per usare un’espressione di uno dei miei capi.
E poi la componente emotiva delle scelte. Ha riempito il suo discorso di dati di sviluppo, numeri di produzione e di occupazione, parla di fatturati che fan girare la testa e poi le decisioni hanno a che fare con la parte emotiva? Ma che manager è?
Guardate, magari fra dieci anni (o anche meno) verrà fuori che Marchionne è un bluff, scopriremo cose indegne sulla sua gestione di FIAT, magari verrà fuori che predicava bene e razzolava male. Bene, se verrà fuori tutto questo non lo so, però la predica è di quelle di livello, di quelle che non si sentono tutti i giorni, di quelle che in genere fanno i consulenti mentre noi pensiamo “sì, bello dirlo così ma vieni a lavorare tutti i giorni da noi.”.
Ecco, lui è uno che lavora tutti i giorni e dice questo.
Ma sapete qual è il suo vero grande limite? E’ il terzo concetto che ribadisce più volte nel suo discorso: le scelte implicano senso di responsabilità e coscienza.
Senso di responsabilità? E lo dice alla Camera? Sono sbigottito.
Non siamo abituati a sentire queste cose. E comunque, da buon manager, alla fine arrivano le sue richieste: lui vorrebbe poter utilizzare gli impianti e governare le fabbriche.
Cerco di capire, lui parla di senso di responsabilità, ci dice che le scelte hanno a che fare con le emozioni e coi sogni, che i problemi vanno tirati fuori, che FIAT ha una importante ricchezza umana e tutto questo per chiedere governabilità delle fabbriche e utilizzo degli impianti?
Se non capisco male lui ha detto che si assume delle responsabilità ma solo se potrà governare le fabbriche (dove gli interessa far funzionare gli impianti).
Ecco, in questo si vede il limite di Marchionne: cosa potranno mai aver capito i nostri cari membri della Camera di questi aspetti, fortuna che ha tirato fuori pure qualche numero e che ogni tanto diceva “miliardi di euro di investimenti” altrimenti la gente si addormentava.

Ora è chiaro che ho ridicolizzato e banalizzato tutta una serie di concetti ma, ribadisco, se dovesse venire fuori che Marchionne è un bluff ci sono un paio di lezioni che mi voglio tenere:
- I problemi si tirano fuori
- Le ricchezza delle risorse umane è garanzia del futuro
- Le decisioni hanno a che fare con le emozioni
- Le decisioni implicano coscienza e senso di responsabilità
- Non dobbiamo proteggere l’inerzia.

Il resto son mie battute anche poco riuscite nel tentativo di sminuire il personaggio e focalizzarmi sui contenuti.

lunedì 21 febbraio 2011

Sapere VS Conoscenza


Ieri sera ho visto un pezzettino della trasmissione “che tempo che fa” con Fabio Fazio.
C'era ospite una professoressa di Italiano che presentava un suo libro.
La professoressa spiegava come i ragazzi d’oggi siano molto curiosi e siano molto attenti in classe ma come poi a casa non “aprano un libro”.
A parte l’espressione “a casa non aprono un libro”, che mi riporta a gloriosi tempi andati in cui curavo un po’ di febbre con una corsetta ed una doccia calda, mi è venuta alla mente una riflessione, rafforzata in mattinata da un video.
L’insegnate diceva che ormai i ragazzi hanno mille distrazioni e manca la volontà di concentrarsi.
Ha definito lo studio come un’attività che si fa da soli, per fissare nella mente delle parole.
In effetti è vero, ridotto ai minimi termini è così.
Credo che però questa società debba confrontarsi con una definizione diversa della conoscenza.
Ormai la nostra società ci mette a disposizione tanto sapere, abbiamo l’accesso a mille informazioni e la nostra conoscenza diminuisce. Che ce ne facciamo di avere in testa informazioni che posso facilmente recuperare col telefonino in maniera più accurata di quanto mai potrò avere in testa?
Se non ci adeguiamo a questo rischiamo solo di impoverirci. Qualche giorno fa Benigni ha fatto un intervento a Sanremo spiegando l’Inno di Mameli. La grandezza dell’intervento non è stata nel farci vedere che conosce il rinascimento e nel manifestare la sua cultura, la bellezza è stato in come ha collegato le cose, in come ha ragionato sui significati, sugli eventi.
Dobbiamo capire che la nostra capacità di essere critici, di collegare le cose, di leggerne il significato sarà la nostra vera conoscenza, non il detenere informazioni.

Però come si fa a diventare sufficientemente preparati per poter essere critici? Bisogna conoscere, un po’ è necessario ancora conoscere e venire a contatto con informazioni, con sapere, con pensieri.
Nessuno strumento, ad oggi, è in grado di farci questo, almeno senza privarci di tutto il nostro sapere.
Unica attenzione saranno i canali da utilizzare per accedere a questo sapere.
Non possiamo prescindere da internet per due motivi:
  1. sarà sempre più aggiornato di qualunque pubblicazione;
  2. ci aiuta anche ad allenarci ad essere critici, internet non sempre dice la verità, quello che troviamo deve sempre essere verificato. Mentre quello che è presente sui libri di scuola non siamo abituati a metterlo in discussione, quello che troviamo su internet deve per forza esserlo.

Se ci muoviamo con queste consapevolezze forse potremmo anche non impoverirci troppo. No, dai, non volevo sembrare un santone che lancia strali e malefici. Dobbiamo essere sereni ma confrontarci con un nuovo modo di gestire la conoscenza che non ha più la necessità di sapere ma ha quella di criticare, sviluppare, commentare.

giovedì 17 febbraio 2011

La saggezza di Gaia

Sono a casa, una visita medica mi ha accorciato il pomeriggio e adesso sono a casa.
Son qui che cerco di adempiere al compito lasciatomi da Giulia "tieni badata Gaia che in realtà si bada da sola" e mi concentro su altri pensieri.
Ad un certo punto con la coda dell'occhio vedo dondolare vistosamente la sdraietta dove, fino a due minuti fa, dormiva Gaia.
Mi giro e, una volta che ha la mia attenzione, esordisce: " che pensi?".
"Oggi faccio pensieri complicati, forse mi sto perdendo".
"Dimmi dimmi."
N:"stavo cercando di darmi obiettivi per il futuro, sai per i prossimi..."
G:"quindici anni?"
N:"già, come fai a saperlo?"
G:"beh, facile, quindici anni fa compivi diciott'anni, mi sembrava logico"
N:"giusto, brava."
G:"su cosa stai lavorando?"
N:"sai, sono un po' in difficoltà, non riesco a mettere a fuoco. Vedi, penso solo a cose banali, il lavoro è ok, mi piace e non mi sento di pormi obiettivi, voglio solo continuare a fare il mio dovere, la casa l'abbiamo, mi piace, è la casa in cui sono cresciuto, ho Giulia e ho te, penso che fra quindici anni tu sarai alle superiori ma non voglio avere miei sogni per te, voglio essere io a disposizione dei tuoi, casomai."
G:"non ti seguo, se hai queste cose e sei completo cosa cerchi?"
N:"non ne ho idea, vorrei darmi altri obiettivi."
G:"ti seguo, forse ho una soluzione."
N:"vai, spara."
G:"cosa sognavi quindici anni fa, quando hai smesso di essere un minorenne e sei diventato maggiorenne, partiamo da allora."
N:"mah, cose semplici, ero proprio un ragazzino, pensavo ad essere felice, anzi, sereno e poi volevo innamorarmi e trovare la persona giusta. Mamma mia, cosa mi fai tornare in mente, i miei diciott'anni."
G:"e che lavoro sognavi di fare?"
N:"non lo ricordo, direi nulla, non ci pensavo, ero molto più semplice."
G:"bene, seguimi adesso: di quello che volevi a diciott'anni adesso cos'hai?"
N:"tutto."
G:"giusto, e si tratta di cose semplici ma non banali. Prova a tornare a pensare a questo genere di cose. Se pensi a una casa, una moto nuova, un ruolo importante al lavoro o chissà cos'altro sai cosa penserai fra quindici anni?"
N:"cosa?"
G:"che son passati quindici anni. Torna a pensare a quello che vuoi, a quello che ti serve per essere felice."
N:"hai ragione però mi son venute in mente alcune cose che vorrei fare, diciamo prima che finiscano i miei giorni."
G:"Diomio se sei drastico, e di cosa si tratta?"
N:"voglio un'altra laurea, voglio imparare a suonare il piano e a parlare un'altra lingua."
G:"molto bello ma sai perché vuoi tutto questo?"
N:"Dimmi."
G:"perché ti fanno sentire incompleto e questo ti piace, ti fa sentire giovane. Va' bene, ricorda che non si è mai troppo vecchi per essere felici."
N:"ma come fai ad essere così saggia?"
G:"perché sono piccola e non capisco quello che mi dicono gli adulti. Ma stai sorridendo, hai già ricominciato a cercare e adesso sai cosa, evidentemente. Beh, bene, io vado a nanna, sono stanca, domani mi aspetta una giornata dove essere felice e, sai, non è detto sia facile."
N:"notte piccola mia, sei meglio dell'analisi."

martedì 15 febbraio 2011

Grazie Ronnie, grazie mille

Ogni bambino ha i suoi eroi, i suoi miti. Io ho avuto Rumenigge, Zenga e Ronaldo.
Ronaldo in realtà l'ho vissuto da ragazzo ma i miti servivano lo stesso.
Già è chiaro che sono interista, direi.
Beh, vorrei rendere omaggio a Ronaldo che ieri si è ritirato.
Un grande, a mio avviso, se gli infortuni non l'avessero condizionato, il più grande.

Ronaldo è stato il prototipo del calciatore moderno, il precursore di tanti altri emuli mediocri della sua classe.
Ronaldo era veloce come nessun altro, faceva in velocità cose che noi capivamo solo dalla moviola.
Una volta un giornalista disse che Ronaldo era come un fratello maggiore, quando le cose andavano male i suoi compagni andavano con gli occhi gonfi da lui e lui vinceva la partita.
Ecco questo rendeva bene.
Ricordo l'Inter di Simoni, quella che perse lo scudetto grazie a Iuliano ma vinse una coppa UEFA contro la Lazio, a Parigi. Era fatta da giocatori abbastanza scarsi, diciamolo, Colonnese, Galante, Morriero, Cauet. Certo, c'erano anche buoni giocatori ma non era uno squadrone.
Però fu un'Inter incredibile, la più vera, come DNA. Soffriva, arrancava e poi Ronnie risolveva. Riguardatevi alcune immagini di quell'anno di Ronaldo.
Con gli anni si è appesantito, rotto, fermato e ripreso. Gli è accaduto di tutto ma due cose sono rimaste le stesse, dal Psv al Corinthias: ha sempre fatto goal, ha sempre sorriso.
Ronaldo ha fatto goal in tutti i modi, con tutte le condizioni fisiche e in tutti gli schemi, lui goal lo sapeva fare. Ed era sempre alla ricerca della felicità. Giocare a a calcio lo divertiva, non lo arricchiva. Ricordo quando nelle prime interviste in italiano parlava di "sjoia e feliscità", strascicando esse, gi e ci. Ed è sempre stato così, lo ha sempre fatto, fino all'ultima partita.
Per questo non sono riuscito ad odiarlo quando è andato al Milan, per questo ho sorriso quando ci ha fatto goal nel derby. Perché quando sai che una persona è felice in qualche modo lo sei anche tu, anche se un po' ti ha tradito. In fondo è sempre il tuo fratello maggiore che ti ha insegnato che il calcio è solo "sjoia e feliscità".
Grazie Ronnie, grazie per le magie che hai fatto, per quello che hai inventato, per le emozioni che hai creato e per la leggerezza che hai portato. Alla fine hai ragione tu, ti amano i compagni e tifosi e ti rispettano gli avversari, hai fatto ancora goal.

venerdì 11 febbraio 2011

Sintomi e patologie sono diversi

Ho fatto oggi un ragionamento con un pezzo grosso nella mia azienda in cui ho concluso dicendo che è stato fatto un intervento sui sintomi e non sulla malattia. Dal di lì mi è rimasta in testa un’idea, una riflessione sui sintomi e sul loro significato. Cito, come sempre Wikipedia:
il termine Sintomo deriva dal greco σύμπτωμα: 'evenienza', 'circostanza '; a sua volta derivato da συμπιπτω: 'cadere con, cadere assieme'. Infatti il sintomo non è mai un'entità fenomenica unica, ma l'effetto finale, non standardizzato, di un convergere di molteplici azioni e reazioni. Indica un'alterazione della normale sensazione di sé e del proprio corpo in relazione ad uno stato patologico, riferito dal paziente.
Bene, c’è quindi differenza fra il sintomo e la malattia. Abbiamo un arrossamento cutaneo, noi mettiamo una crema mentre il medico ci dice di calare la dose di Nutella a merenda. Uno è un intervento su un sintomo, l’altro su una “malattia” (nello specifico si interviene riducendo il carico per il fegato, direi). Non voglio addentrarmi su analisi mediche di vario tipo, non ne ho la competenza ma, quante volte agiamo sul sintomo, magari anche facendolo sparire, e non ci concentriamo sulla malattia. Penso alla vita in azienda, sono chiari sintomi la confusione nel prendere le decisioni, le incomprensioni, le interferenze, la lentezza, la mancanza di qualità. Ma non è su questi che bisogna agire, bisogna prendersi la cura di guardare tutti i problemi che ha un’azienda e capire cosa ci stanno dicendo. Non concentriamoci sui sintomi, su due uffici che non si parlano, su un’attività che resta in sospeso. Prendersi cura dell’attività e chiuderla è lodevole e doveroso per l’azienda ma poi è necessario anche capire cosa è accaduto, capire dove c’è un “vuoto” di responsabilità. Già in un altro post ( ti-e-arrivata-la-mia-mail-di-promemoria ) avevo parlato della tendenza a deresponsabilizzarci e dell’importanza di cogliere i sintomi che ci indicano questa patologia. Chi si occupa di analisi aziendale dovrebbe quindi sempre tener conto della differenza fra un sintomo ed una malattia.
Anche noi, nel capire cosa stiamo facendo, cosa ci infastidisce, cosa ci impedisce di essere sereni e felci, comprendere cosa nella nostra vita non è come vorremmo dovremmo concentrarci bene per capire quali sono i sintomi. Mettere una crema o un po’ di trucco su un’irritazione in viso può servire per una serata ma non ci farà star meglio. Cerchiamo sempre di capire se quello che stiamo combattendo o cercando di migliorare è il nostro problema o è solo un sintomo.
Perché però abbiamo la tendenza a curare i sintomi piuttosto che la malattia? Beh, è abbastanza semplice, i sintomi fanno sempre meno paura e sono sempre più affrontabili. E poi, non preferireste anche voi mettervi una crema piuttosto che rinunciare alla Nutella?

giovedì 10 febbraio 2011

Gaia e la libertà.

Ieri sera lavoravo al PC, stavo creando un filmato con le foto dei giri in moto del 2010. Siccome il mio PC non è un fulmine nei momenti in cui lui rifletteva io sfogliavo una rivista di moto.
Ad un certo punto Gaia si affaccia dalla carrozzina e mi dice:
“Non ho sonno, cosa fai?”
N: “Leggo distrattamente in attesa che il PC finisca”
G: “Ahhh, e cosa leggi di bello?”
N: “In realtà adesso sto leggendo la recensione di un libro. Parla di un viaggio fatto in moto. Anzi è il racconto di un viaggio”
G: “Ahhh, quindi una storia vera, ma è interessante?”
N: “Pare di sì, sai mi affascina questa gente che è libera, che prende e parte, libera di andare, senza costrizioni”.
G: “Ma tu vorresti andare?”
N: “No, io sono uno da nido, la sera devo tornare a casa mia, mi mancherebbero troppo le mie donne. Mi colpisce il fatto che questi siano liberi, che facciano scelte liberamente, con coraggio”.
G: “Ma sei convinto?”
N: “Perché?”
G: “Ti chiedo una cosa, ne esistono tante di persone che fanno di questi viaggi liberi?”
N: “Più di quello che pensassi, sai da quando leggo e mi informo ho scoperto che c’è un mondo di viaggiatori. Poi, se allarghiamo il raggio oltre ai motociclisti, ci sono un sacco di persone che si svegliano e decidono che sono persone libere e vanno, chi in Australia, chi negli USA, chi in Africa. Insomma, che sfidano la loro vita, la fissano negli occhi con coraggio”.
G: “Non è un caso”
N: “Cosa?”
G: “Che nessuno cerchi la libertà, che ne so, a San Marino o in Austria. La libertà è sempre lontana”.
N: “Cosa vuoi dire?”
G: “Che non bisogna mai confondere la libertà con la fuga, il coraggio con l'evitamento”.
N: “(faccia da punto interrogativo)”
G: “Sai, mi ha mandato proprio oggi un SMS il nonno volante in cui mi riportava una roba che ha letto o sentito che parla proprio di questa differenza”.
N: “Il nonno volante ti manda SMS?”
G: “Sì, da quando ha l’iPhone manda anche MMS. Comunque mi ha fatto riflettere su questo aspetto. Chi decide di andare via, di lasciare tutto, è libero o scappa? Io credo che in alcuni casi la gente in realtà stia scappando, non sia libera e coraggiosa. Solo che essere liberi è molto più elegante che essere in fuga. E’ per questo che gente come te non parte, anche se è affascinata da chi lo fa. Perché non ti sentiresti libero, quello lo sei già, ti sentiresti in fuga. Il fatto è che sentirsi in fuga da qualcosa che piace o comunque dalla propria libertà non è mai una scelta intelligente. Ecco perché tu resti”.
N: “Io resto perché tu e tua mamma siete uno spettacolo”.
G: “Esatto, quindi la fuga non c’entra nulla con la libertà e col coraggio, ruffiano”.
N: “Giusto, ho capito, non avere legami non significa essere liberi e andare via non significa sempre essere coraggiosi e padroni del proprio destino, alcune volte significa semplicemente girarsi da un’altra parte e scappare”.
G: “Bravo, proprio così, la libertà non è girare le spalle a quello che la vita ci propone, quella è fuga”.
N: “Grazie. Ah, il PC ha finito”.
G: “Bene, sono stanchissima”.
N: “Sogni d’oro Piccolina”.

martedì 8 febbraio 2011

Noi e Alice nel paese delle meraviglie

Per lavoro mi capita di aver a che fare con le persone. Molti per lavoro hanno relazioni con gli altri, io mi diletto a cercare di capire chi ho davanti.
Incontro ogni genere di persona, assertivi, riflessivi, dinamici, brillanti, rigidi, flessibili, simpatici, ombrosi, relazionali, emotivi. Ormai ho un certo campionario.
Sono tutti interessanti. Quello su cui mi interrogo è che cosa è più funzionale per la realtà attuale.
Ieri sera ho scritto su Facebook che a questo mondo è meglio capire in fretta che capire bene.
Cosa intendo: ci sono persone con capacità riflessive molto sviluppate, capaci di seguire e di facilitare ragionamenti e approfondimenti moto complessi. Però hanno tempi molto lenti, hanno necessità di sedimentare con molta attenzione ogni passaggio. Questo li porta a raggiungere traguardi molto importanti, magari anche sconosciuti ad altri, però quando arrivano spesso la corsa è finita, la premiazione è stata fatta e non resta più nessuno al traguardo.
Vi sono invece altre persone che sono velocissime nel comprendere, che hanno una facilità di comprensione e di ragionamento veramente impressionante. Sono molto in linea con i tempi della nostra quotidianità dove si corre sempre.
Lewis Carrol in Alice nel paese delle meraviglie dice “Qui, invece, vedi, devi correre più che puoi, per restare nello stesso posto. Se vuoi andare da qualche altra parte devi correre almeno il doppio”.
Credo che rispecchi bene i nostri tempi, anche se risale a qualche anno fa…..
Siamo diventati bravissimi a correre e chi non lo fa si sente inadeguato, anche se potrebbe arrivare più lontano di noi.
Sapete qual è il vero problema? Il vero problema è che per correre bisogna essere leggeri. Bisogna cercare di non portarsi dietro molte valige, molte borse. Una tracolla con pochi importanti oggetti e via. Il problema è sceglierli questi oggetti. Il progresso della nostra società è cresciuto in maniera esponenziale, ma cosa ci stiamo portando dietro? Ci stiamo rendendo conto che parte della nostra conoscenza, parte delle nostre relazioni le stiamo lasciando a casa e non vengono con noi “a correre” perché ci appesantiscono? Bisogna essere bravi a scegliere, cosa posso lasciar perdere? Cosa non mi servirà in questo viaggio? Forse questo è un momento in cui correre è pericoloso, non scegliere bene cosa portarci dietro è un rischio. E in parte lo stiamo già vedendo, stiamo impoverendo di contenuti se non la nostra società di sicuro le nostre aziende.
Non è possibile cambiare ritmo, pensare di non correre, è però possibile cercare di essere consapevoli di quello che si fa.
Carrol sicuramente non vedeva il correre fine a se stesso, immaginava una meta, un obiettivo, fosse anche solo quello di rimanere sul posto.
Noi dobbiamo sforzarci di avere un obiettivo, di sapere dove stiamo correndo; purtroppo non siamo in una pista di atletica dove è impossibile perdersi, noi siamo in mezzo ad un bosco a correre e dobbiamo capire dove andiamo. E nel correre dobbiamo pensare a cosa mettere nel nostro zaino e cosa “dare in outsourcing”. Non tutto potrà venire con noi ma ci sono competenze e conoscenze che non possiamo lasciar uscire dal nostro zaino.

venerdì 4 febbraio 2011

Il mio pensiero per Gaia

Ciao Gaia,
Oggi che sei un po' stanca ne approfitto per dirti io qualche cosa. In fondo se ti addormenti non importa, ti voglio parlare di cose che spero vedrai tutta la vita.
Questa mattina passeggiavamo in centro tu, la mamma ed io.
Ad un certo punto, davanti al Mercato Coperto mi è venuta in mente una riflessione.
Ho pensato a cosa vorrei per te, per il tuo futuro.
Vorrei tu fossi felice, prima di tutto, vorrei che le prove della vita fossero solo occasioni per trovare altre forme di felicità. Vorrei tu fossi serena, per poter gustare ogni istante, ogni gioia.
Vorrei tu fossi leggera, non sempre, ma ogni volta che prendi una decisione. Vorrei vederti capire quando il momento è importante, quando si è davanti ad un momento importante della propria vita. Vorrei vederti considerare tutte le opzioni, anche molto seriamente se lo riterrai. Ma vorrei vederti leggera nel momento della decisione. Bisogna essere leggeri per poter vedere bene dall'alto.
Vorrei tu ti divertissi un sacco, oltre ad essere felice. Vorrei vedere il tuo divertimento esplodere contagioso. Tua mamma ed io ci divertiamo un sacco e ti garantisco che ne vale la pena.
Vorrei tu fossi soddisfatta ed orgogliosa di quello che fai.
Vorrei che tu facessi un sacco di sogni e vorrei che tu li realizzassi. Vorrei che tu pensassi veramente di poter cambiare il mondo e lo facessi. Io penso di poterlo fare ed un giorno capirò in che modo. Vorrei che anche tu crescessi con questa convinzione, da quando l'ho capito funziona tutto meglio.

Sai, pensate tutte queste cose mi sono chiesto come fare ad insegnartele o a dartele.
Ho scoperto che solo la libertà potrebbe essere l'unico veicolo di tutto questo.
Allora vorrei tu fossi libera. Vorrei darti tutta la libertà del mondo ma so che non ne sarò capace. So che sarò geloso e protettivo, apprensivo e "stufoso" e che, anche se non vorrei, amore mio, mi troverò a voler ridurre la tua libertà.
È per questo che non posso darti la libertà, piccolina, ecco perché posso solo insegnartela e insegnarti a diffidare da tutti coloro che vogliono dartela.
Essere libera è l'unica cosa che ti insegnerò a riconoscere, a rincorrere e a difendere. Ma non potrò mai darti la libertà, ogni volta che lo farò sarò nelle condizioni di togliertela, amore mio e questo lo devi sapere. Ogni volta che qualcuno si metterà nelle condizioni di darti libertà potrà anche togliertela.
Non confondere mai le tue conquiste con la libertà.

Ecco, piccolina, da grande vorrei che tu fossi libera, se così sarai io sarò certo che potrai essere anche felice, divertita, serena, realizzata ed orgogliosa.
Sento che respiri nella tua carrozzina, ti sei addormentata. Non importa, un'altra sera ne riparleremo.

mercoledì 2 febbraio 2011

Ti è arrivata la mia mail di promemoria? Sì e ho dato fuoco al PC

Conversazione al lavoro.

“Scusa, ti sei ricordato di fare questo?”
“No, cazzarola, hai ragione, ti chiedo scusa, adesso mi ci metto”
“Prossima volta ti mando una mail”
“No, non c’è bisogno me lì’ero appuntato, è proprio che col casino mi son scordato”
“No, te la mando così ho la traccia che te l’ho chiesto per tempo”

Ecco, sentito questo mi è venuto un brivido.
E’ vero, lo facciamo tutti, mandiamo mail a colleghi, clienti e fornitori per avere traccia di quello che abbiamo detto, per poter inoltrare a distanza di tempo una mail e dire “te l’avevo detto, lo sapevi è nero su bianco”.
Già, poi i più virtuosi di noi fanno anche re-mind dell’incarico affidato, mail del tipo “5 giorni fa ti ho chiesto una cosa che mi serve fra tre giorni, volevo solo ricordartelo”.
Se entrate in un ufficio e vedete una persona col volto disteso state certi che ha appena inviato una mail di questo tipo, un promemoria per un collega.
Ci si sente più leggeri, dopo averla inviata.
E’ una pratica diffusa, alcuni sono più “educati” altri sono più compulsivi ma tutti lo facciamo.
I più sottili usano una tecnica blindatissima, del tipo “ti scrivo per non disturbarti, così leggi quando puoi, volevo solo ricordarti che……”.
Questo è geniale perché passi una responsabilità e blindi pure la posizione.
Ora non è del tutto sbagliato, questo fenomeno.
Quando si ha a che fare coi clienti o coi fornitori, specie se ci sono vincoli e penali, è sempre opportuno scrivere. In fin dei conti è un pezzo che si sostiene che il “verba volant”.
Però come in tutte le cose ci vorrebbe buon senso, specialmente per evitare poi la necessità di regole che sono antipatiche.
Quale sia il limite non lo so, forse servirebbe fidarsi più dei colleghi, sapere che gli si affida un incarico se ne prenderanno la responsabilità. Però sono necessarie alcune condizioni.
In primis dobbiamo avere la certezza che il nostro collega è persona seria ed affidabile, che se si prende un impegno lo porta a termine nei modi e nei tempi corretti. E questo è abbastanza semplice, affideremo mai un lavoro per noi ad una persona inaffidabile, imprecisa e superficiale? Così fosse poi non dobbiamo lamentarci alla macchinetta del caffè, abbiamo sbagliato noi.
Seconda cosa dobbiamo dare la possibilità al nostro collega di negoziare l’incarico. Mi spiego, se gli mando una mail con scritto quello che mi serve non è detto che io abbia la giusta percezione dei suoi carichi di lavoro e delle sue priorità. Potrei affidargli un incarico legittimo, lui potrebbe essere persona affidabile ma potrebbe non essere nelle condizioni di esserlo.
Mandare una mail non ci solleva da tutta una serie di altre attività. Pensate di ricevere una mail da un collega, non riuscire a leggerla subito, leggerla dopo un po’ e scoprire che vi ha chiesto una cosa urgente. Voi, per il fatto che non avete rifiutato, vi sentite di aver delle responsabilità rispetto al ritardo?
A questo punto qualcuno obietta dicendo che prima si manda una mail e poi si telefona.
Giusto. E poi, perché non mandiamo anche un fax, un piccione e magari chiediamo ad una segretaria di parlarne con la segretaria del collega quando si vedono la sera in palestra?
Perché semplicemente non si contatta il collega, gli si chiede se in quel momento può ascoltare e solo dopo che gli si è spiegato che si ha bisogno gli si manda una mail coi dettagli.
Altra cosa importante, fino a quando non abbiamo avuto un ok dal collega la modalità giusta è la sua. Se lui per primo ci chiede una mail è inutile mandare un fax o insistere a voce o per telefono. Ci ha chiesto una mail e mail sia. Se invece dice che gli basta una telefonata o che vuole un post-it sullo schermo del PC questo è quello che dobbiamo fare.
Come ultima analisi dobbiamo ricordarci che ci può comunque sempre stare che un collega non riesca ad accontentarci e dobbiamo sempre avere la franchezza di dire “mi son sbagliato, mi son dimenticato, non sono riuscito” se noi non riusciamo ad accontentare un collega e non riusciamo ad avvisarlo per tempo del nostro ritardo.
Comunque, come sempre, se ci fosse buon senso sarebbe molto meglio. Purtroppo cerchiamo di mantenere le nostre attività ad un livello che tolga le responsabilità dalla relazione.
Mandare una mail ed un sollecito solleva chi la manda e chi la riceve, ci troviamo un’attività senza responsabilità. Il primo è sollevato perché “lui l’ha detto”, il secondo perché “lui non ha letto perché aveva da fare”.
In questo modo tutti ci possiamo lamentare ma nessuno è colpevole, abbiamo agito in modo da deresponsabilizzarci tutti.