Mattinata e pomeriggio a casa, la
febbre della notte mi ha messo KO.
Oggi sto meglio ma devo riguardarmi un
attimo, non ho più vent'anni. Dato che mi sento bene decido però di
dare un po' d'aria a Giulia e la obbligo ad uscire senza le bimbe.
Anche solo un paio d'ore. In fin dei conti stanno dormendo,
dormiranno ancora un po', riuscirò a sopravvivere senza troppi
problemi.
Passa un'ora e ancora nessuna delle
bimbe si sveglia. Un po' mi dispiace, speravo in un pomeriggio di
tranquillità ma quando dormono mi mancano un sacco. Decido di
smettere completamente i panni del bravo papà e di fare un po' di
rumore per svegliarle. Mi avvicino alla cameretta e sento Bianca che
mugula e Gaia che la incita. Mi metto nascosto fuori dalla porta e
ascolto.
Gaia “Forza che ce la fai, ci sei
quasi”
Bianca “Quanto manca, quanto manca”
Mi affaccio e vedo Gaia che è in piedi
sul suo lettino e guarda Bianca intenta a cercare di afferrare una
delle api colorate che ha appeso sopra la testa. Per quanto siano
vicine lo sforzo è considerevole, Bianca è paonazza, occhi stretti
sguardo fisso sull'obiettivo, mano sinistra protesa e gambe stese e
tinche.
G “Ti manca molto poco, ci sei quasi,
non mollare”
B “Ce la faccio, ce la faccio. Quanto
manca?”
G “Dai che ci sei pochissimo, in
pratica ci sei”.
Sono bellissime, Gaia sembra un
allenatore della Boxe, di quelli protesi verso il ring e verso il
proprio assistito, di quelli che se potessero entrerebbero per
picchiare l'avversario.
B “Non ce la faccio più, me la
faccio sotto”
G “Non mollare, meglio farsela sotto
che arrendersi, ci sei quasi, ti giuro che ci sei vicina”.
In realtà Bianca non è così vicina,
Gaia forse se ne accorge o forse è ingannata dalla prospettiva ma
Bianca non è così vicina. Però la incoraggia.
G “Dai piccolina, forza, sei una
forza, ci sei quasi”
A stento riesco a rimanere nascosto,
vorrei entrare in camera, strappare l'ape dal filo che la sostiene e
darla a Bianca mentre le abbraccio entrambe. Tengo duro anche io.
Bianca è in stallo e Gaia se ne rende
conto.
G “Piccolina, facciamo così, conto
fino a tre e tu fai un ultimo grande sforzo e ti butti, vedrai che ce
la fai”
B “Vai, conta”. Bianca è rossa
come un pomodoro, credo sia in apnea da due minuti per lo sforzo.
Gaia conta “Uno, due e tre”.
A questo punto Bianca si slancia, le
sue dita cicciottelle e corte sfiorano l'ape di quel tanto da
permetterla di stringerla. Ce l'ha fatta, rimane appesa qualche
istante, giusto il tempo di rilassare un po' i muscoli e poi si
lascia cadere nel letto soddisfatta.
Sono un padre in estasi, la sorella
grande ha appena guidato la piccola in un piccolo trionfo. Trattengo
a stento le lacrime ma non l'orgoglio quando sento gaia che riprende.
G “Forza, ci sei quasi, un ultimo
piccolo sforzo”.
Ritorno in me e rivedo la stessa
identica scena dell'inizio.
Bianca distesa, paonazza, contratta che
cerca di afferrare l'ape.
Non capisco ed entro.
N “Ciao piccole, che fate?”
G “Bianca si allena”
N “Che bello, cosa si allena a fare?”
G “A raggiungere un obiettivo alla
portata ma non facile”
N “Che brave, ho visto che c'è
riuscita, perchè continuate”
B “Ci sono riuscita quattro volte
negli ultimi cinque tentativi”
N “Ma allora perchè continui, sei
paonazza, grondi sudore e sei affaticata?”
B “Perchè mi dovrei fermare?”
N “Perchè ce l'hai fatta, hai
raggiunto il tuo obiettivo”
B “Ma io mi sto allenando adesso”
mi dice sbigottita dal fatto che io non capisca
N “E quindi?”, in effetti io non
capisco, è riuscita in quello che si era prefissata. E qui
interviene la sorella.
G “Perchè non ci si allena fino a
quando una cosa riesce, ci si allena fino a quando non si sbaglia
più. Non ci accontentiamo di sapere che una volta ce l'abbiamo fatta, noi avremo in pugno i nostri obiettivi”. Lo dice guardando Bianca che, sfruttando il fatto che la
sorella parlava, ha nuovamente afferrato l'ape.
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