Sono sempre sul divano, ormai la mia immagine ricorrente mi vede svaccato sul sofà con pieno abbandono del mio corpo e la mia mente centrata sulla piccolina che intanto gioca faticando per quattro persone.
E’ impegnata ad assemblare qualcosa, non capisco cos’è fino a quando non si gira di scatto verso di me, sorprendendomi che la fisso.
G: “Ho finito”, mi annuncia con un sorrisone trionfante.
N: “Cos’hai fatto?”, le chiedo guardando quell’insieme di mattoncini giganti.
G: “E’ come vorrei fosse disposta la camera dove staremo io e la mia sorellina”
N: “Spiegami”, le dico mentre mi ride anche il cuscino adiposo su cui sono seduto
G: “Questo è il letto mio, questo è il letto della sorellina, questo è il mio armadio e..”
N: “Ma mancano tante cose”, le dico interrompendola.
G: “Tipo?”, mi dice indispettita
N: “Non vedo la porta, come fate ad entrare in camera”.
Fissa la sua costruzione, toglie un mattoncino e mi dice:
“Ecco fatto”.
N: “Manca anche la finestra”
Stessa scena, toglie un altro mattoncino, sempre più infastidita.
“E adesso, cosa manca?”
N: “Direi che ci siamo, scusa se ti ho interrotto ma c’era qualche errore. Tu sei una perfezionista, so che ci tieni a fare le cose perfette”
G: “Hai ragione, in effetti è così. Mi piace fare le cose fatte bene però…” e lascia sospeso, per chiamare un mio commento.
N: “Però…cosa intendi?”
G: “Ti piace quello che ho fatto?”
N: “E’ molto bello, poi è molto tenero che tu ti preoccupi di dividere i tuoi spazi con tua sorella. Poi li hai divisi bene, in parti uguali, ho notato che hai rinunciato ad una parte dell’armadio”.
Mentre dico questo ecco che arriva il suo sorriso, non ho ancora capito come ma sto per prendere l’ennesima lezione di vita da questa nanetta impertinente.
G: “Quindi pensi che io abbia fatto bene?”
N: “Certo”, forse la faccio franca.
G: “Vedi, hai ragione a dire che io sono una perfezionista, che mi piace fare le cose fatte bene. Però ho capito una cosa importante nella mia vita”.
N: “Cosa hai imparato?”
G: “Ho imparato che un lavoro eccellente è una cosa diversa da un lavoro senza errori. Il mio lavoro è eccellente, lo dici anche tu. Ho suddiviso la stanza in maniera equilibrata ed equa, ho messo gli elementi principali e tu mi hai detto che ho fatto un buon lavoro. Poi non mi hai lasciato spiegare ma ci sono molti altri contenuti. Il mio essere perfezionista è soddisfatto dall’aver fatto un lavoro eccellente. Non ho indicato la porta e la finestra? Sono due errori che non hanno alcun impatto sul contenuto di quello che faccio, sulla qualità di quello che ho prodotto. Il mio essere perfezionista ha a che fare coi contenuti, se realizzo qualcosa di eccellente può anche avere degli errori, sarà comunque un lavoro eccellente. L'eccellenza ha a che fare con il contenuto primario di un lavoro. E' come una crostata. Se è buona poco importa che sia tonda o quadrata. Invece se è una torta decorativa importa molto che sia bella e meno se, magari, è una banalissima torta alla crema e pan di spagna. Bisogna capire il valore aggiunto di quello che si fa e perseguire su questo l'eccellenza”.
N: “Hai ragione, direi che fila. C’è differenza fra eccellenza e essere senza errori, dove per altro gli errori non sono determinanti perché il lavoro è eccellente.”
G: “Sai, credo che ci sia un essere perfezionisti in maniera positiva, cercando l’eccellenza, e esserlo in maniera negativa, cercando di produrre un qualcosa senza errore invece che eccellente.”
Stavolta sono senza commenti, la osservo in attesa del primo segnale di cedimento, di stanchezza.
Eccolo, braccia protese verso il babbo, è cotta. La prendo in braccio e mi avvio verso il letto mentre ripenso a quello che mi ha spiegato.
E’ impegnata ad assemblare qualcosa, non capisco cos’è fino a quando non si gira di scatto verso di me, sorprendendomi che la fisso.
G: “Ho finito”, mi annuncia con un sorrisone trionfante.
N: “Cos’hai fatto?”, le chiedo guardando quell’insieme di mattoncini giganti.
G: “E’ come vorrei fosse disposta la camera dove staremo io e la mia sorellina”
N: “Spiegami”, le dico mentre mi ride anche il cuscino adiposo su cui sono seduto
G: “Questo è il letto mio, questo è il letto della sorellina, questo è il mio armadio e..”
N: “Ma mancano tante cose”, le dico interrompendola.
G: “Tipo?”, mi dice indispettita
N: “Non vedo la porta, come fate ad entrare in camera”.
Fissa la sua costruzione, toglie un mattoncino e mi dice:
“Ecco fatto”.
N: “Manca anche la finestra”
Stessa scena, toglie un altro mattoncino, sempre più infastidita.
“E adesso, cosa manca?”
N: “Direi che ci siamo, scusa se ti ho interrotto ma c’era qualche errore. Tu sei una perfezionista, so che ci tieni a fare le cose perfette”
G: “Hai ragione, in effetti è così. Mi piace fare le cose fatte bene però…” e lascia sospeso, per chiamare un mio commento.
N: “Però…cosa intendi?”
G: “Ti piace quello che ho fatto?”
N: “E’ molto bello, poi è molto tenero che tu ti preoccupi di dividere i tuoi spazi con tua sorella. Poi li hai divisi bene, in parti uguali, ho notato che hai rinunciato ad una parte dell’armadio”.
Mentre dico questo ecco che arriva il suo sorriso, non ho ancora capito come ma sto per prendere l’ennesima lezione di vita da questa nanetta impertinente.
G: “Quindi pensi che io abbia fatto bene?”
N: “Certo”, forse la faccio franca.
G: “Vedi, hai ragione a dire che io sono una perfezionista, che mi piace fare le cose fatte bene. Però ho capito una cosa importante nella mia vita”.
N: “Cosa hai imparato?”
G: “Ho imparato che un lavoro eccellente è una cosa diversa da un lavoro senza errori. Il mio lavoro è eccellente, lo dici anche tu. Ho suddiviso la stanza in maniera equilibrata ed equa, ho messo gli elementi principali e tu mi hai detto che ho fatto un buon lavoro. Poi non mi hai lasciato spiegare ma ci sono molti altri contenuti. Il mio essere perfezionista è soddisfatto dall’aver fatto un lavoro eccellente. Non ho indicato la porta e la finestra? Sono due errori che non hanno alcun impatto sul contenuto di quello che faccio, sulla qualità di quello che ho prodotto. Il mio essere perfezionista ha a che fare coi contenuti, se realizzo qualcosa di eccellente può anche avere degli errori, sarà comunque un lavoro eccellente. L'eccellenza ha a che fare con il contenuto primario di un lavoro. E' come una crostata. Se è buona poco importa che sia tonda o quadrata. Invece se è una torta decorativa importa molto che sia bella e meno se, magari, è una banalissima torta alla crema e pan di spagna. Bisogna capire il valore aggiunto di quello che si fa e perseguire su questo l'eccellenza”.
N: “Hai ragione, direi che fila. C’è differenza fra eccellenza e essere senza errori, dove per altro gli errori non sono determinanti perché il lavoro è eccellente.”
G: “Sai, credo che ci sia un essere perfezionisti in maniera positiva, cercando l’eccellenza, e esserlo in maniera negativa, cercando di produrre un qualcosa senza errore invece che eccellente.”
Stavolta sono senza commenti, la osservo in attesa del primo segnale di cedimento, di stanchezza.
Eccolo, braccia protese verso il babbo, è cotta. La prendo in braccio e mi avvio verso il letto mentre ripenso a quello che mi ha spiegato.
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