Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

giovedì 28 luglio 2011

Ingegneria sociale.

Grazie alla frequentazione di un forum poco tempo fa sono venuto a conoscenza di una cosa che non conoscevo. Qualche ricerca banale su infernet mi ha aperto un mondo.

Parliamo di Social engineering, ingegneria sociale.
Se cercate il termine troverete due macro definizioni. La prima ha un’accezione positiva, si riferisce ad una disciplina delle scienze politiche che ha come scopo quello di influenzare i comportamenti sociali e gli atteggiamenti. Ad esempio gli stati mettono in atto diverse attività al fine di contenere i comportamenti eticamente dannosi all’equilibrio della società stessa. Ok, a parte l’incongruenza di questo nobile fine con la realtà quotidiana in cui viviamo, la definizione più interessante è la seconda.
Il social engineering è l’arte di manipolare le persone al fine di ottenere da essere informazioni rilevanti sulla sicurezza. Il guru di questa “arte” è Kewin Mitnick che, dopo aver fatto scorribande informatiche di varia natura, è stato beccato e ha cominciato a scrivere libri e credo che abbia una società che difende da attacchi e violazioni di natura informatica.
E’ stato lo stesso Mitnick ha codificare le diverse fasi di un “attacco” da parte di un ingegnere sociale (è evidente che l’accezione giusta è quella negativa, come può nascere del buono dall’unione di due termini così in antitesi……). Comunque, la prima fase è quella di footprinting, in cui l’ing sociale raccoglie quante più info possibili sulla persona. Ci può essere anche un’attività di setaccio dell’immondizia, alla ricerca di info. Quindi segue un contatto col quale l’ing verifica la veridicità delle info raccolte. Il contatto può essere diretto con la persona o con chi gli è attorno. Attraverso la gestione delle domande e l’incrocio delle info l’ingegnere sociale raccoglie tutti i dati che gli servono e poi scatena il suo attacco a password, accessi e quanto di suo interesse. Infernet ha indubbiamente facilitato il lavoro di questi soggetti, specialmente l’avvento e l’uso inconsapevole dei social network. Lo sviluppo della nostra società e il fatto che diventiamo virtuali non può essere fermato, ci mancherebbe, però essere consapevoli di quello che si fa è doveroso. Personalmente utilizzo molti social network ma non amo le funzioni che mi localizzano, non ho piacere che siano monitorati i miei spostamenti.

Però sono consapevole che molte info che mi riguardano sono recuperabili e verificabili senza alcuna difficoltà, senza che nessuno rovisti nel mio cestino. Però basta che non ci sia una psicosi riguardo a questo. E’ inutile che nasconda la testa sotto la sabbia, meglio essere consapevoli di questo e mantenere quel minimo di riservatezza rispetto a quello che si fa. Infernet e i social network non sono il male, anzi sono uno strumento di condivisione di idee e di pensieri incredibili, pensate a quel che è accaduto nel Nord Africa ad inizio anno, tutto guidato da Twitter e da Facebook. Siamo davanti ad una risorsa che si consolida ogni giorno. Però ricordiamoci che il buon Fermi non voleva creare un’arma di distruzione di massa, le persone però sono riuscite a creare l’atomica. Quindi usiamo gli strumenti, non lasciamo che siano di dominio di pochi e cerchiamo di mantenere alta la nostra attenzione.

lunedì 25 luglio 2011

Cose che non imparerò mai.

Ormai ho trentatre anni, ieri constatavo che mia figlia appena nata (9 mesi) è più vicina ad iniziare il liceo di quanto non sia vicino io alla fine del mio.
Conti strani che si fanno forse perché siamo un po’ tutti cabalisti, posto che io sappia veramente cosa significhi esserlo.
Comunque mi sono incartato in alcune riflessioni personali ed ho fatto l’elenco delle cose che non imparerò mai. Lo condivido, in modo che possiate saperlo anche voi e possiate farvene una ragione.
1. Non imparerò mai a non anticipare la fine della frase di chi mi parla. Anche senz interromperlo ma a metà frase ho l’arroganza di sapere come finirà. Quindi non cercate frasi ad effetto, con conclusioni illogiche, tipo “Sai la mia auto è vecchia e adesso ho deciso di cambiarla, mi prendo un trapano a percussione”. Io non capirò mai trapano a percussione.
2. Non imparerò mai a stare zitto, almeno nella mia testa. Vorrei dire a chi ha cercato di insegnarmi a stare zitto che ha fallito. Forse invecchiando deciderò di trasformare i miei interventi in borbottii da anziano burbero. Vi comunico che se lo farò vi perderete qualcosa.
3. Non imparerò mai ad essere serioso. Io sono serio, anche molto se voglio, ma ho solo questa vita e ho deciso di essere sorridente, di rider e di scherzare. Se confondete serio con serioso mi dispiace per voi che non capirete mai fino in fondo quello che posso darvi.
4. Non imparerò mai a essere ordinato. Io odio il disordine, vorrei essere più ordinato ma non mi riesce, mi annoia. Ogni tanto faccio grandi campagne di riordino ma poca roba. Il mio rimane un ordine relativo e non assoluto, un ordine di sostanza (trovo quello che cerco) e non di forma (la mia scrivania non ha mai l’aspetto di una scrivania ordinata).
5. Non imparerò mai a non bere acqua fresca in estate, la sera/notte quando è caldo. Lo so che poi sudo come un baghino ma è più forte di me, baratto 5 secondi di piacere con minuti di agonia.
6. Non imparerò mai a non farmi un’idea sulle cose a non avere un’opinione su tutto e a mantenerla a lungo. Mi faccio continuamente delle idee su quello che mi circonda, potrei fare “l’impressionologo” ma mi piace farmi un’idea e poi rivederla, sistemarla. Quindi se oggi sostengo una cosa diversa da quella che sostenevo ieri chiedimi il perché, non darmi dell’incoerente (cosa che potrebbe essere vera).
7. Non imparerò mai a farvi fare i cazzi miei, mi farò volentieri i fatti vostri ma i fatti miei a vostra disposizione sono a livello superficiale, sotto non si vede nulla.
8. Non imparerò mai a non essere testardo e cocciuto e a partire dall’assunto che io ho ragione. Mi spiace, poi magari ci ripenso ma la partenza è sempre quella.
9. Non imparerò mai a non cambiare repentinamente discorso. E' naturale per me volare di palo in frasca senza alcuna logica che non sia quella del "mi è passato per la testa". Magari posso imparare a non interrompere per dire cose che non c'entrano col discorso, questo posso farlo.
10. Non imparerò mai a considerare che gli elenchi puntati possono anche essere composti di 6 o 7 punti e non per forza di 5 o suoi multipli.....

Ecco, forse ce ne sono altri, forse no. Comunque, averli scritti non è che faccia sentire meglio, se qualcuno pensava fosse una sorta di terapia. Però ora che li ho scritti magari qualcuno di questi imparo a farlo….certamente non il 5, quello è insito in me, fa parte di me, non è trattabile.

mercoledì 20 luglio 2011

Outing: ogni tanto picchio delle botte incredibili. Autopercezione.

Ogni giorno il mio lavoro mi porta a confrontarmi con persone più giovani di me.Ogni anno che passa diventa più difficle. Quest'anno i neodiplomati sono nati senza aver visto i mondiali di Italia90, se gli parlo della mascotte Ciao non sanno cosa sia.......tragedia e io che ancora rimembro le "Notti magiche".
Mi rendo conto che inesorabilmente sto abbandonando la fascia dei junior, dopo aver già abbandonato quella dei neolaureati, e mi avvio a consumare quella dei medium.
Tutto questo si scontra con una non perfetta percezione di me stesso.
Dopo un piccolo incidente accaduto un paio di sabati fa, mentre tentavo un gesto atletico, mi sono accorto che la mia testa è convinta di poter fare cose che il mio corpo non è più (o non è mai stato?!?) in grado di fare.
Faccio outing e ve le racconto, magari sono terapeutiche.
Partiamo dall’ultima.
Al rientro da un bel giro in moto (su http://motociclistidatavola.blogspot.com trovate il racconto del Tour dell'Eroica), mi ritrovo fuori dalla locanda con mio babbo. La locanda ha un piccolo patio con le sue belle colonne ed un piccolo muretto. Mio babbo ha la macchina fotografica in mano, è fuori dal patio e io gli dico “stai lì, fammi una foto mentre salto”.

Ecco quello che è successo. Il salto era veramente banale, parto con passo deciso ma superficiale, giunto in prossimità dell’ostacolo il mio cervello, come fosse una centralina, elabora che non ho sufficienti informazioni su quello che mi aspetta al di là del muretto. Un marciapiede? Un po’ di ghiaia? Un mix? Ecco che allora, pur di non arrestare la corsa accetta il compromesso di appoggiare una mano e di saltare tipo “olio cuore”. In sequenza: alluce sinistro che urta contro il muretto mentre la velocità di rotazione della gamba è prossima a quella della luce, ginocchiata sulla parte superiore del muretto, caduta sul ghiaino con rotazione del corpo ed escoriazioni su stinco ed avambraccio. Attenzione, stinco sinistro ed avambraccio destro, a testimonianza del fatto che ho proprio rotolato. Ridevo ancora mentre rotolavo.

Scena due. Stoccolma 2009. Parco a tema con cavallino in legno arancione tipico della Svezia. Al garrese è alto circa un metro e mezzo, anche meno (è quello sullo sfondo della foto). Lo approccio e chiedo a Giulia di fotografarmi quando ci sono sopra. In rapida successione. Slancio falese su fondo cedevole (ghiaia misto sabbia) con abbinata scarsa spinta sulle braccia ritenute superflue allo sforzo, rotazione della gamba destra alla velocità della luce per salire sul cavallino, slancio della stessa gamba insufficiente per passare sopra al cavallo e conseguente ginocchiata contro culone ligneo della bestia. Tutta Stoccolma ha vibrato per venti secondi come un grande diapason mentre io ho zoppicato per tutta la giornata.
Scena tre. Estate 2010. Villaggio vacanze con piscina e trampolino. Approccio con sospetto il trampolino e poi, dopo rapida analisi della situazione, mi lancio in uno sgraziato tuffo con capriola in avanti.
Esco dall’acqua con lo sguardo illuminato tipo Wily E. Coyote quando pensa a qualcosa di geniale e dichiaro: “Giulia pronta a scattare che faccio la capriola all’indietro”. Notare che il mio ego richiede sempre una foto in questi frangenti, non conosco pudore. Mi approccio al trampolino con nuova confidenza ed arroganza, doppio slancio sulla pedana, balzo in avanti con ancora il sopracciglio alzato in segno di sfida e inizio della manovra di contro rotazione del corpo.
Appena raggiunta posizione perfettamente supina e parallela allo specchio d’acqua la rotazione si blocca di colpo e precipito sul pavimento d’acqua piatto come un frisbee. Non ricordo di essere neppure affondato ma di essere stato spinto fuori dall’acqua restando in superficie. Ho avuto la schiena rossa per metà pomeriggio.

Ecco, questi sono solo alcuni degli episodi che di recente mi hanno portato a confrontarmi col concetto di auto percezione. Magari prossimamente entro nel dettaglio. Se sopravvivo a me stesso.

lunedì 18 luglio 2011

Third english post. Cost of changing


I remember when I was about twenty that, during the Christmas period, the mobile companies activated some special offers for SMS. You paid him 10 euros for 15 days for free (free?!) sms.
I never loved this kind of offers because if you want to amortize to initial cost you have to send about fifty sms in fifteen days. Probably you don’t have the need but you’ll do it because you want to have advantage from your new offer.
Now it's the same way of thinking when we talk about changing.
People say that when something changes, provider or tariff or product can save money and/or time. Probably this is right but often I heard people forget the cost of changing.
When you value a changing you have to consider the advantage that the "new big things" could give to you but never forget that changing has a cost. You can amortize this cost in a period but you have to know that until this you have not saving period is gone you have not saving.
This cost of change is always hidden or forgotten by our politicians.
When is necessary a change They always forget to tell us that the "new deal" will start working after a period during which we will continue to pay the change.
A stupid example. Now we decide to leave all the “blue cars”. Some politicians will say that with this idea we should save some million of euro. But they doesn’t say that the changing will cost us some euro, for example, with the penalties.
I don’t want say that I don’t like changing, I like changing and I like think that I can always improve my reality. But there is an important difference between change and improve. Consider all the cost, not only money, is a way for choose the improvement instead change.
This is just an example but the meaning is not to be blinded by the beauty of the word change. The change makes sense if it is improving, or think about changing the furniture or color of hair, not your life.


ECCO LA SOLITA TTRADUZIONE....COMINCIO A PRENDERCI UN PO' DI PIU'....
Mi ricordo quando un avevo circa venti che, durante il periodo natalizio, la società di telefonia mobile attivate alcune offerte speciali per gli SMS. Lo hai pagato 10 euro per 15 giorni gratis (free?) Sms.
Non ho mai amato questo tipo di offerte, perché se si vuole ad ammortizzare il costo iniziale è necessario inviare una cinquantina di sms in quindici giorni. Probabilmente non avete il bisogno, ma lo farai, perché si vuole avere vantaggio dalla nuova offerta.
Ora è lo stesso modo di pensare quando si parla di cambiare.
La gente dice che quando qualcosa cambia, provider o tariffa o di un prodotto possono risparmiare denaro e / o di tempo. Probabilmente questo è giusto, ma spesso ho sentito gente dimentica il costo di cambiare.
Quando il valore di un cambiamento è necessario considerare il vantaggio che le "cose
​​nuove grandi" potrebbero dare a te ma non dimenticare mai che la modifica ha un costo. Si può ammortizzare questo costo in un periodo, ma dovete sapere che fino a questo non hai il risparmio periodo è andato non hai il risparmio.
Il costo del cambiamento è sempre nascosta o dimenticata dai nostri politici.
Quando è necessario un cambiamento Essi dimenticano sempre di dirci che il "new deal" inizierà a lavorare dopo un periodo durante il quale noi continueremo a pagare il cambiamento.
Un esempio stupido. Ora decidiamo di lasciare tutte le "auto blu". Alcuni politici diranno che con questa idea che dovremmo risparmiare un po 'di milioni di euro. Ma non dice che il cambiamento ci costerà qualche euro, per esempio, con le sanzioni.
Non voglio dire che non mi piace cambiare, mi piace cambiare e mi piace pensare che io possa sempre migliorare la mia realtà.
Ma c'è una differenza importante tra cambiare e migliorare. Considerare tutti i costi, non solo il denaro, è un modo per scegliere il miglioramento invece il cambiamento.
Questo è solo un esempio, ma il significato non deve essere accecato dalla bellezza della parola cambiamento. Il cambiamento ha un senso se si tratta di migliorare, o pensare di cambiare i mobili o il colore di capelli, non la tua vita.

giovedì 14 luglio 2011

Allenarsi alla felicità. Diaologo con Gaia


Caldo torrido, uscire dall’auto condizionata e fare le scale di casa equivale a scalare una montagna di sabbia.
L’umidità mi abbraccia appiccicosa.
Arrivo in casa e sento i classici versi da gioco sul tappeto di mia figlia, 9 mesi.
Per qualche strano motivo è prona, testa contro il cuscino, gambe dritte e sedere in alto, nel vano tentativo di alzarsi in piedi.
Dato che da quella posizione non riesce ad alzarsi le corro in aiuto, butto malamente la borsa la prendo da sotto le braccia e la metto seduta. Scattano l’urlo e il pianto inconsolabile.
N: “Ehi, volevo solo aiutarti, com’eri prima non ti alzavi, eri in stallo!” dico pensando guarda te quando si vuol fare del bene.
G: “No, mi sto allenando ad essere felice, non mi puoi aiutare”.
La tentazione di andare a fare una doccia è tanta ma questa bimba è troppo sveglia, son troppo curioso. Grondo sudore e stanchezza ma mi butto.
N: “Non capisco ma ti garantisco che non è mia intenzione privarti della felicità”.
G: “lo so, solo che la felicità bisogna allenarla. E io mi sto allenando all’idea di allenamento”.
Mi guardo attorno sperando che compaia un mojito in mio soccorso, invece nulla.
G: “Vedi, il cervello impara cosa fare, trasforma le buone teorie in comportamento, in abitudini ma non è automatico. Se non ci si allena impareremo le buone teorie ma non le trasformeremo in abitudini e resteranno solo teorie.”
N: “E questo lo capisco, ma perché ti vuoi alzare a rovescio?”
G: “Perché bisogna imparare a percorrere nuove strade. La vecchia via, il vecchio modo di fare le cose è più facile, il mio cervello è già capace di farlo. La nuova via invece la conosco ma ancora non è una mia abitudine e io devo renderla automatica.”
N: “Ok, bene. Non ti avvilire se non ce la fai, in ogni caso”.
G: “Questo è il bello: l’allenamento è successo. Sbagliare fa parte dell’allenamento ma ogni volta è più facile, è inevitabile. E se continuo ad allenarmi il mio cervello farà di tutto questo un’abitudine”.
N: “Non vorrei smontarti, mi piace il tuo entusiasmo, ma capiterà anche che sbaglierai e che non imparerai”.
G: “Guarda mi fai rabbia, forse è il caldo e sei stanco. Allora, pensa alla guida: io quando ti guardo guidare penso che sia difficilissimo, hai solo due piedi e ben tre pedali, solo due mani e mille cose da fare. Anche quando guidi la moto, coordini mani piedi, per me è incredibile”.
N: “Anche io da piccolo pensavo fosse impossibile, ricordo che credevo che non avrei mai imparato”.
G: “Bene, adesso dimmi quanto pensi alla guida quando guidi”.
N: “Niente, penso ad altro, è automatico”.
G: “Perché ti sei allenato, ormai è un’abitudine. E, visto che ti sei allenato tanto e con impegno, hai imparato bene. La cosa che può succedere è di allenarsi male, imparando qualcosa di sbagliato.”
N: “Ok, ho capito, hai ragione. Non ho capito però perché la felicità. Perché bisogna allenarla”.
G: “Perché deve diventare anche lei un’abitudine. Perché voglio che sia per me in modalità automatica. Ci sono tante cose che voglio allenare nella mia vita e ho pensato che se a monte di tutto tengo la felicità non può essere così male.”
N: “Beh, direi che hai ragione, se rendi la felicità un’abitudine non può che andarti bene”.
G: “E poi mi devo allenare ad allenarmi. Ho pensato che la maggior parte dei buoni propositi falliscono perché la gente trova il proposito, trova il modo di farlo bene ma poi non è abituata ad allenarlo. Manca questo. Quante volte a fine anno si fanno propositi? Sono tutti validi. Uno è sovrappeso e decide di mettersi a dieta. Giusto focus sul problema, giusta soluzione, manca l’abitudine ad allenarsi.”
N: “Hai sempre più ragione, allora buon allenamento. Se poi pensi di fare palestra dimmelo”.
G: “Ci si allena sul campo, in palestra ti puoi preparare ma l’allenamento è meglio farlo sul campo. Sempre”.
N: “Dammi tregua, vado a farmi una doccia, sei tremenda”.
G: “Prima mi cambi il pannolino tutto questo allenamento mi ha fatto fare diversi bisogni addosso”.
N: “Dai amore, vieni che ci cambiamo, sono allenato”.

mercoledì 13 luglio 2011

CoseKeSo: Un filmato di immagini....nient'altro

CoseKeSo: Un filmato di immagini....nient'altro: "Sei minuti e cinquanta secondi di mie immagini. Non sono belle, non sono artistiche ma sono sostanzialmente una persona innamorata delle im..."

Un filmato di immagini....nient'altro

Sei minuti e cinquanta secondi di mie immagini.
Non sono belle, non sono artistiche ma sono sostanzialmente una persona innamorata delle immagini e del guardarsi attorno.
Diciamo che il filmato assomiglia ad un mio curriculum.
Ah, dopo un po' arrivano anche i Rolling Stones....

Six minutes and fifty seconds of my images.
They are not beautiful, are not artistic, but I'm basically in love with the pictures and look around.
Let's say the movie looks like my curriculum.
Ah, after a while even the Rolling Stones arrive ....



martedì 12 luglio 2011

Gaia e la sabbia. Preconcetti

Sono nuovamente a casa, dopo una giornata di lavoro e di caldo, rientrando vedo la mia piccolina che gioca sul tappeto. Da poco ha imparato ad alzarsi aggrappandosi e, appena mi sente, cerca di tirarsi su aggrappandosi ad un gioco, per farmi vedere quanto è brava. Non appena mi vede sorride e io mi scordo di tutti i pensieri. Oggi però ha un sorriso diverso, credo mi debba dire qualcosa.
N: “Ciao nanetta, come stai? Ti sei divertita oggi con la mamma e con la nonna?”
G: “Volevo raccontarti una cosa”.
Ecco, sapevo che c’era qualcosa.
N: “Certo dimmi pure”
G: “Oggi sono stata al mare, ero seduta sul telo che cercavo di capire se la sabbia mi piace oppure no. Son partita che ero convinta mi piacesse, è così divertente da tenere in mano, poi ho visto altri che facevano cose incredibili, ho visto persino un castello. Davvero, un castello vero”
N: “Ci credo, magari una volta che andiamo assieme facciamo anche noi un castello, che dici?”
G: “Perché no, se non ho altri giochi da fare, volentieri. Comunque ti dicevo che ero lì che volevo assaggiarla e la mamma mi diceva ‘non mangiarla che è cattiva, vedrai che non ti piace’. Io mi fido della mamma, sempre, però mi pareva impossibile che una cosa così divertente potesse essere cattiva”.
N: “Invece capirai quante volte accade che una cosa bella non è buona o se fa bene è cattiva. Ma poi cos’è successo?”.
G: “Ho preso per ben due volte la sabbia in mano per portarmela alla bocca ma, nonostante le facessi gli occhioni, la mamma non ci è mai cascata a mi toglieva la sabbia dalle mani. Non è come te che ti imbamboli, lei è più sveglia”.
N: “Grazie!”
G: “Comunque le ho provate tutte, ho pure pianto. Alla fine però si è distratta e mi sono messa in bocca un pugnetto di sabbia. Faceva schifo. Ed ero felice”.
N: “Non ti seguo, hai mangiato qualcosa di schifoso ed eri felice?”
G: “No, ero felice perché avevo torto”.
N: “Adesso capisco pure meno. Sei felice ad avere torto? Perché?”
G: “Per due motivi: il primo è che è bello scoprire che la mamma ha sempre ragione, mi pare che il mondo sia un posto migliore quando la mamma ha ragione; il secondo è che ho cambiato idea”.
N: “Scusa, non capisco il secondo”
G: “Cosa c’è di più bello di scoprire che si aveva un preconcetto e di avere l’occasione di ricredersi? Io non sapevo com’era la sabbia, avevo un preconcetto. Adesso lo so, posso dire a tutti com’è e raccontare che prima ero diffidente. Ho cambiato opinione rimediando ad un errore. Adesso so una verità in più e questo mi fa felice, capisci? Potevo anche dar retta alla mamma ma ero così convinta che per cambiare idea dovevo provare.”
N: “Capisco, anche se non sono la mamma.”
G: “E non trovi che sia eccezionale poter cambiare un’opinione quando si scopre la vera verità?”
N: “Fammi una promessa, non cambiare mai”.
G: “Non te lo posso promettere, crescere vuol dire cambiare e non riesco ad immaginare nulla di più bello”.
N: “Sei super”
G: “Credo di essermi cagata addosso”.

venerdì 8 luglio 2011

Il Cuccule

Due parole su un personaggio che ho avuto occasione di incontrare in un recente giro in moto.
Si tratta del Cuccule, un uomo di 89 anni con la passione per la bicicletta.
L'ho conosciuto a Cavriglia.


Ha mani grandi e nodose come radici, frutto del lavoro in miniera e vanta un'amicizia con Bartali.
ha passato parte della sua vita a scavare lignite e adesso cura i suoi ulivi e le sue viti sotto lo sguardo fiero del figlio (altro personaggio incredibile, conoscitore del mondo e delle persone).
Il Cuccule si è fermato a parlare con me un quarto d'ora, dopo aver lavorato attorno ai suoi ulivi armato di zappa.
Mi ha parlato di lavoro, del fatto che invecchia e di bicicletta.
Mi ha parlato di Bartali, il suo mito, e della rivalità col grande Coppi, dimostrando grande onestà nell'ammettere la grandezza dell' "uomo solo al comando". Mi ha parlato anche di Pantani, di come incarnasse per lui l'immagine dello sportivo di cuore, che appassiona.
Abbiamo parlato dell'Eroica, del giorno in cui è andato a Firenze in bici per presenziare alla presentazione della corsa.

E' un grande fan di Bartali, l'ho già detto, ed un suo amico. E qui il personaggio diventa mito. Pare che un giorno, mentre Bartali si allenava, disse al Cuccule che non voleva andare al Tuor del 1948, forse perchè non era sicuro di vincerlo. Il Cuccule gli disse di andare sicuro che avrebbe vinto. Bartali guardò quell'amico piccolo ma forte e gli promise la maglia in caso di vittoria. Ancora oggi Il Cuccule gira con una maglia gialla in lana, tutta rammendata, che gli riempie il petto meglio di ogni altro vestito, l'unico indumento che riesce a contenergli il cuore..
La cosa che rende ancora più eccezionale una storia già incredibile è che quello del 1948 fu il Tour dell'attentato a Togliatti, vincendo il quale Bartali ci salvo dalla guerra civile.
Il Cuccule è un personaggio incredibile, uno di quegli incontri importanti da fare.
Grazie Libero.

mercoledì 6 luglio 2011

Naivety as a positive characteristic - second english post

I'm going to talk about naivety.
In Italian the word for naivety is “Ingenuità”. The word comes from Latin and originally meant noble, honest, free and simple. In the past naivety people was “in genue” that means born in a free family, not slaves. The Romans thought that those who were borned free had positive characteristics as honesty and sincerity.
Now we use naivety as a negative characteristic that means that a person is not able to be smart and to live in a crafty world.
Instead I think that naivety could be an important characteristic, especially if we need to drive a change. We need honest people, ready to give us honest feedback about our changing; we need free people that have no prejudices or resistance with changing; and finally we need simple people because we have to think change in a simple way if we are interested in improvement and not just in changing.

COME L'ALTRA VOLTA ECCO COME LO TRADUCE GOOGLE.
Ho intenzione di parlare di ingenuità.
In italiano la parola per ingenuità è "Ingenuità". La parola deriva dal latino e in origine significava nobile, onesto, libero e semplice. In passato la gente ingenuità era "in genue" che significa nato in una famiglia libera, non schiavi. I romani pensavano che quelli che erano nati liberi avevano caratteristiche positive come l'onestà e la sincerità.
Ora usiamo ingenuità come una caratteristica negativa che significa che una persona non è in grado di essere intelligenti e di vivere in un mondo astuto.
Invece penso che ingenuità potrebbe essere una caratteristica importante, specialmente se abbiamo bisogno di guidare un cambiamento. Abbiamo bisogno di persone oneste, pronto a dare un feedback onesto sul nostro cambiamento, abbiamo bisogno di persone libere che non hanno pregiudizi o resistenze con il cambiamento e, infine, abbiamo bisogno di gente semplice, perché dobbiamo pensare il cambiamento in modo semplice se siamo interessati a un miglioramento e non solo a cambiare.

lunedì 4 luglio 2011

Qualità e prezzo

Sono da poco stato in negozio Decathlon e come sempre mi sono divertito un sacco. Attrezzi, indumenti, strumenti, tutto per fare attività fisica. Adesso che ho una nanetta nel mio stato di famiglia sono rimasto colpito dal costo di alcune cose. Ci sono delle t-shirt in cotone che costano dai 3 ai 5 euro. Le ho controllate, sono cotone al 100%, anzi, sono di cotone buono al 100%.

Io sono molto italiano e quindi sono cresciuto con mia nonna che diceva “chi spende poco spende due volte” e ho sempre dubitato della qualità di chi proponeva manufatti a basso costo. Questa cultura ha condizionato anche tutti coloro che approcciavano il mercato con prodotti economici e si sono adeguati al fatto che nei prodotti low cost l’Italiano non cerca la qualità. Non lo ritiene probabile. Prendiamo un altro esempio: Ikea. Ikea produce mobili a basso costo ma di qualità. Ciò che abbatte la qualità dei mobili Ikea è la nostra manualità nel montarli. I mobili di per sé costano poco perché dietro vi sono forme di risparmio e di contenimento dei costi a tutti i livelli della catena, dalla generazione dell’idea alla produzione, all’acquisto di materiali.
Ecco alcuni spunti che ho trovato sull’inesauribile wikipedia.
Qualità significa capacità di raggiungere gli obiettivi stabiliti (efficacia), utilizzando al meglio le risorse umane, di tempo ed economiche a disposizione (efficienza);
Ho poi recuperato, sempre su wikipedia, un’evoluzione del concetto di qualità
• Joseph M. Juran en:Juran, "Idoneità all'uso" è il padre della moderna gestione della qualità.
• Kuehn & Day 1962, "Nell'analisi finale del mercato, la qualità di un prodotto dipende da quanto bene corrisponde ai modelli delle preferenze del consumatore."
• Gilmore 1974, "La qualità è il grado in cui un prodotto specifico soddisfa i bisogni di uno specifico consumatore."
• Crosby 1979, "Qualità significa conformità a requisiti."
• Broh 1982, "La qualità è il grado di eccellenza ad un prezzo accettabile ed il controllo della variabilità ad un costo accettabile."
• Price 1985, "Fare le cose giuste la prima volta."
• Oakland 1989, "L'essenza dell'approccio alla qualità totale è identificare e soddisfare i requisiti dei clienti, sia interni che esterni."
• Newell & Dale 1991, "La qualità deve essere raggiunta in cinque aree fondamentali: persone, mezzi, metodi, materiali e ambiente per assicurare la soddisfazione dei bisogni del cliente."
• La norma ISO 9000 del 2000 (Fondamenti e Terminologia) "Qualità: Capacità di un insieme di caratteristiche inerenti ad un prodotto, sistema, o processo di ottemperare a requisiti di clienti e di altre parti interessate."
• La norma ISO 9000 del 2005 (Fondamenti e Terminologia) "Qualità: Grado in cui un insieme di caratteristiche intrinseche soddisfano i requisiti."
Il concetto di qualità ritorna spesso associato a quello del contenimento dei costi.
Perché allora, specialmente noi Italiani, siamo così restii a ritenere un prodotto economico anche di qualità? Perché Ikea può andare per la tavernetta o per l’appartamento al mare ma non per il salotto di casa? Perché Decathlon è ok per prendere una tenda che si lancia e apre in 5 secondi per mandare il figlio adolescente in campeggio sotto casa e non per prendere le scarpe tecniche con le quali affrontare il torneo di calcetto aziendale con fare da professionista consumato e sovrappeso?
Perchè l’Italia è il paese della saggezza delle nonne e delle piccole e medie imprese: non è nel nostro DNA una grande azienda che produce qualità a costi contenuti. C’è sempre diffidenza. Però indagando il concetto di qualità ho scoperto che forse noi confondiamo la qualità col lusso.
Noi viviamo nel paese del design, delle piccole botteghe di artigiani e questo ci condiziona. Siamo disposti a pagare l’originalità, anche quando non ci piace, ma non riteniamo possibile fare un affare senza spendere il giusto. Vogliamo trattare, spendere poco ma se spendiamo troppo poco siamo convinti ci sia un difetto di qualità.
E che questo falso mito ha creato spazi per chi proponeva prodotti economici ma di scarsa qualità, avvalendosi dell’alibi che tanto erano economici. Siamo pieni di mediocrità a basso costo e non riusciamo a distinguerla dalla qualità a basso costo.
Ecco, oggi parte la mia crociata a favore della qualità, qualità che vuol dire anche giusto costo.
La Ferrari non è qualitativamente superiore alla Toyota, ha un brand più forte, è più esclusiva, è più performante in termini di prestazioni legate alla velocità. Questo determina il motivo per cui costa di più.
Poi c’è Fiat ma questo è un altro discorso, oppure no?