Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

domenica 26 febbraio 2012

L'arte di non saper invecchiare?

Già lo scorso anno mi ero reso conto di quanto suonasse ridicola l'espressione "giovane trentatreenne" e quest'anno, giunto a 34, mi sento un personaggio sfigato di un film anni ottanta se mi associo l'aggettivo giovane. Però un po' mi ci sento, giovane. Nonostante le quasi due figlie, quasi cinque anni di matrimonio e tutto il resto. Forse perché la mia è la generazione degli eterni figli, quelli che per i genitori non cresceranno mai. Invece, prima o dopo, capitano, i segnali arrivano. I tre episodi che ti fanno capire che non lo sei più, giovane. Puoi mentire a te stesso quanto vuoi, puoi accusare dei dolori alla schiena uno sforzo improvviso, puoi accusare il cambio di stagione della tua stanchezza. Puoi, però prima o poi capita. Primo episodio. Personalmente mi è capitato ben due volte. Sei a bordo campo, distratto, ti giunge un pallone e senti la voce squillante di un under venti che dice "signore, SCUSI, palla". Ecco, se anche quando siete in pantaloncini e prossimi all'attività fisica si rivolgono a voi dandovi del lei è un segnale. Mi è capitato due volte, una al mare da parte di due ragazzini (e questo rende più lieve la ferita) ed una al calcetto. Secondo episodio. Questo è fresco, mi è accaduto questa sera ed è il motivo scatenante del post. Pizzeria d'asporto. Cassiera under venti che prende le pizze e dice al pizzaiolo/padrone "di chi sono?". "del ragazzo", dice lui. Lei guarda la sala e non trova nessun ragazzo. Il pizzaiolo mi indica e lei dice "ah, sono del signore". Ecco, se agli occhi dei nuovi giovani voi non apparite come giovane, nonostante l'abbigliamento giovanile e gli sforzi, allora è un altro segnale. Il terzo e ultimo episodio, che ancora non mi è capitato, si verifica quando vi cedono il posto su un mezzo pubblico. Non prendo autobus da dieci anni e treni da sette, ecco come mi aggrappo alla gioventù. Portate pazienza, vengo da una serata in cui pensavo solo a godermi la mia pizza in casa e mi è andata di traverso. Uffa.

martedì 21 febbraio 2012

Gaia e i segreti svelati alla sorella


Di nuovo sul divano, di nuovo avvolto dal nulla tipico del mio riposo serale. In realtà sono assorto a guardare Gaia.
Ad un certo punto si volta verso di me e mi inchioda con lo sguardo.
“Babba, ho pensato ad una cosa per la piccolina”.
N: “Immagino qualcosa di bello”, da qualche tempo faccio caso a come si comporta con i suoi bambolotti e non sempre è cortese.
G: “Allora, cosa ti credi. Certo, ho pensato ad una cosa. Ho pensato che voglio insegnarle che non è vero che l'importante nella vita non è partecipare”
N: “Non è neppure vincere, tesoro mio”, la interrompo convinto di poterle finalmente dare una lezione di vita, già pregusto il suo hai ragione babba, grazie.
G: “Certo, l'importante non è vincere, è ritirare il premio.”
N: “Ah... questa me la devi spiegare”.
G: “Certo. Dunque, tempo fa ho letto quella roba dell'importante non è vincere ma partecipare. Lì per lì mi è sembrata sensata. Poi però tutti commentavano che non è un dramma perdere una finale, per esempio, perché l'importante è partecipare. Secondo me questa seconda parte è sottovalutata. Il tizio che l'ha detta”
N: “Pierre de Cubertin”, grazie iPad che mi hai permesso di anticipare mia figlia e di scriverlo bene.
G: “Dicevo, il tipo che l'ha detto, quando l'ha detto, parlava delle Olimpiadi. E per forza l'importante è partecipare, arrivare alle Olimpiadi è già aver vinto, hai già ritirato il premio. Io non voglio che la piccolina cresca convinta che basti iscriversi alla vita per essere felici. No, serve ritirare il premio, serve arrivare in cima. Non basta essere nati, non basta partecipare. Ci devi arrivare, a partecipare”.
N: “Mi piace, hai ragione. Però non tutti possono ritirare il premio. Rischi che poi ci resti male”.
G: “Quello che intendi tu no, però io posso insegnarle a darsi dei traguardi, posso insegnarle ad essere superiore alle corse degli altri e a correre solo contro sé stessa. Posso insegnarle a darsi un obiettivo e a ritirare il premio. Non importa cosa faranno gli altri, lei potrà vincere sempre.”
N: “Beh, così è troppo facile, uno si assegna un obiettivo lo centra e poi si complimenta da solo”.
G: “E' per questo che le insegnerò a darsi gli obiettivi. Le insegnerò a cercare di migliorarsi sempre. Fidati, sarà sempre meglio che insegnarle che l'importante è esserci. Le insegnerò che l'importante è esserci se significa qualcosa, se arriverà alla finale delle sfide della sua vita allora l'importante sarà esserci. Voglio che impari che perdere è una lezione e non che perdere non è nulla perchè tanto partecipa e quindi vincono tutti. Dovrà migliorarsi, dovrà godersi ogni premio che ritira e dovrà godere ancora di più per ogni fallimento perchè le permetterà di alzare l'asticella la volta successiva. Fidati, farò di lei una bimba eccezionale”.
N: “Un po' mi spaventi, ma vorrei avere la capacità di trasmetterti le stesse cose, la stessa passione per la vita”.
G: “Grazie mille, non sei per niente male come babba.”

giovedì 9 febbraio 2012

Gaia e la bussola per essere felici


Finita un'altra giornata di lotta contro la neve, comincio a pensare che la neve sia il mio arci-rivale... Svaccato sul divano come una megattera obesa dopo le nozze della cugina sento una vocina che mi fa: “Tu con l'arrivo della sorellina come pensi di gestirti?”
Rispondo cercando con lo sguardo un qualche aiuto, anche dai Teletubbies o dai Bubble Guppies “Cosa intendi amore mio?”
G: “Intendo che quando saremo due piccoline ci sarà molto da fare e che dovrai partire subito a crescerci bene”.
N: “Certo, certo”, balbetto ancora frastornato.
G: “Sai, io ci tengo alla piccolina, non voglio che cresca male ma io non posso insegnarle tutto, mi devi aiutare”, il tono di voce è un po' piccato ma è sincera.
N: “Beh, hai ragione. Il mio intento è sempre quello di lasciarvi la possibilità di esprimervi, di darvi dei valori, di spiegarvi cosa è bene e cosa è male e poi lasciarvi la possibilità di scoprire il mondo, stando un passo indietro per impedirvi di cadere”.
G: “Credo tu volessi dire per impedire di farci male, non per impedirci di cadere”.
N: “Ehmm, sì, suona decisamente meglio”.
G: “E quali sono i valori che pensi di trasmetterci?”
N: “Oh cazzo”.
G: “Cosa?”
N: “Niente, dicevo che ti rispondo a razzo”.
G: “Ah, non avevo capito”.
N: “Credo che vi insegnerò il rispetto, l'ascolto, a distinguere il bene dal male, cose del genere”, ok mi rendo conto che sto prendendo tempo.
G: “Hmmm, non ci siamo”.
N: “Il mio scopo è di darvi una bussola con la quale orientare le vostre scelte”. Giuro, su questa frase pensavo di aver fatto bingo. Nella mia vita molto spesso frasi ad effetto mi sono venute in soccorso. Questa volta, evidentemente, no.
G: ”Perché invece non ci insegni ad essere egoiste? A volere solo il nostro bene e la nostra felicità? ”
N: “Certamente, io voglio la vostra felicità e voglio che facciate ogni scelta pensando ad essere felici, sempre. Però voglio darvi i valori per farlo, la famosa bussola”.
A questo punto prende l'iPad e comincia a scrivere. Dopo due minuti se ne esce di nuovo: “ma tu sai cos'è una bussola?”
N: “Certo, è uno strumento che ti indica la strada giusta, che ti dice dove andare”.
G: “E tu pensi che ci serva questo?”
N: “Credo che per voi sia importante sapere in che direzione andare”.
G: “Ma la bussola non ti dice come andarci”.
Oddio, sento che mi ha incastrato, di nuovo.
G: “Non insegnarci dov'è la felicità, insegnaci come dobbiamo fare per arrivarci. Non mettere dei paletti, traccia delle strade. Aiutaci a scoprire cosa ci rende felici e come abbiamo fatto ad arrivarci, in modo che possiamo rifarlo. Se ci spieghi sempre e solo la differenza fra bene e male, estremizzo, come faremo a scegliere il bene quando ci sbatteremo contro?”
N: “Ma io penso che voi dobbiate fare le vostre scelte liberamente, che dobbiate commettere i vostri errori liberamente”.
G: “Perché? La tua è una generazione che è cresciuta con la paura di non essere libera. I nonni avevano paura di essere troppo protettivi, di togliervi spazi. Perchè dovrebbe essere un problema se ci mostri la strada che ci rende felici? Lascia che siamo noi a capire cosa ci rende felici ma tu accompagnaci fino a quando non avremo capito. Tu hai imparato a insegnare tante cose, hai scoperto come comunicare in modo efficace, in modo che tutti afferrino il concetto. Io per me e per la sorellina vorrei che tu non ci spiegassi dov'è la felicità ma che ci accompagnassi, non mi dare le istruzioni per costruire la mia felicità, costruiamola assieme, così quando dovremo farlo da sole non ci perderemo, non sbaglieremo”.
Detto questo sorride. Ha visto che forse ho capito, anche se stasera prima di dormire ne voglio parlare con Giulia per capire se ho inteso bene. Mi corre incontro e allarga le braccia, è ancora ora di andare a letto. Si butta al mio collo e crolla prima però mi dice "Lo sai che abbiamo rivelato il nome della sorellina in questo dialogo, chissà chi se ne accorge..."

mercoledì 1 febbraio 2012

Obiettivi e benefici


Eccoci, mese nuovo e nuovo primo post del mese. Ok, devo scaldare le dita, ancora poche parole di introduzione insensata. Questa roba dello scaldare le dita l'ho imparata ad un corso di fotografia.
Veniamo a noi. L'altro giorno ho letto un'intervista che mi ha lasciato Giulia....in bagno.
Bene, la riflessione che mi è venuta, in auto, non in bagno, riguarda gli obiettivi.
Ognuno di noi, in ogni momento della vita, si sceglie degli obiettivi, dei traguardi. Si fa ad inizio anno, dopo il primo mese si fa un po' di tuning, poi c'è lo slancio primaverile, i buoni propositi delle vacanze e lo sprint di fine anno. In ogni modo gli obiettivi sono al centro della nostra vita. Credo che gli anni novanta abbiano portato questa mentalità per obiettivi.
Fra l'altro io ci sono cascato in pieno, passo i giorni fino al martedì a definire traguardi, mercoledì e giovedì ci provo, venerdì negozio con me stesso altri obiettivi, sabato e domenica bilanci.
Comunque, sto divagando. Una delle esperienze che più mi ha aiutato a definire i miei obiettivi è stata quella con i ragazzi di SixSeconds. Con loro ho cominciato a ragionare di obiettivi eccellenti, di cercare quello che è veramente importante.
Ecco, l'altro giorno ho cominciato a ragionare della differenza fra obiettivi e benefici. Ovvero, l'obiettivo che decido di perseguire quale beneficio mi dovrebbe portare? Perchè mi pongo un certo obiettivo, quale beneficio credo che possa portare alla mia vita.
Ragionando mi sono reso conto che non bisogna confondere gli uni con gli altri. Per un semplice motivo, se penso a quale beneficio intendo portare alla mia vita allora mi si apre la possibilità di definire molti obiettivi. I traguardi servono per l'operatività ma sono i benefici che dobbiamo indagare e capire bene. Se voglio stare meglio posso darmi come obiettivo di correre di più, di mangiare meglio, di perdere peso. Posso anche fallire in uno di questi obiettivi ma mantenere la mia pulsione verso il beneficio, trovando un altro modo per raggiungerlo.
Certo, mancare un obiettivo resta una delusione che bisogna gestire ma non riuscire a raggiungere un traguardo potrebbe non essere così drammatico, forse abbiamo solo scelto il modo sbagliato per appagare un nostro bisogno, per trovare un beneficio.
Ora, molti già hanno chiara questa distinzione, individuano obiettivi alti e li declinano in operatività. Per me invece tenere distinte le due cose, anche a livello di termini, è importante. Capire bene quali benefici portare alla mia vita e poi definire degli obiettivi sui quali lavorare è importante, mi aiuta a capire cosa è veramente motivante per me e cosa, invece, è solo contorno.