Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

lunedì 23 gennaio 2012

La solitudine delle HR


Stimolato dall'amico Demonio Pellegrino ho deciso di scrivere un post sulle HR.
Lui qualche giorno fa ha espresso la volontà di scrivere un post su come le persone percepiscono le risorse umane e io ho deciso di scrivere della mia percezione da esponente delle HR.
Magari poi glielo giro, lui mi risponde, io gli rispondo e in un attimo diventiamo materiale per Zelig.
Comunque, il primo giorno che inizi a lavorare come facente parte del gruppo delle risorse umane capisci che farai una vita di solitudine.
Lo capisci quando vai a prenderti il primo caffè e i colleghi ti parlano dei problemi dell'azienda come se tu fossi colui che può risolverli o che può comunque portarli all'orecchio di chi può risolverli. E capisci subito che, non potendo risolvere un cazzo, diventerai presto Giuda e che in tua presenza nessuno si lamenterà mai più, tu sei l'orecchio della proprietà.
Questo non sarebbe neppure un male, il fatto è che tu non potrai mai lamentarti dell'azienda. Chi opera nelle risorse umane, dato che gode di tutti i benefici di cui gli altri non godono, non può lamentarsi dell'azienda. Se lo fa mostra il fianco al resto dei colleghi: “lo dice anche quello delle risorse umane che la mensa fa schifo”, “lo dice anche quello del personale che il caffè è cattivo e costa troppo”, “ho sentito quello delle HR lamentarsi dell'orario poco flessibile”.
Come se fare risorse umane centrasse con tutto questo. Per la cronaca: la mensa e chi riempie le macchinette del caffè sono roba da ufficio acquisti e l'orario flessibile lo decide la proprietà.
Quindi caffè da solo, sempre e in silenzio, mai farsi sentire che ci si lamenti. Poi, se fai abbastanza bene il tuo lavoro (o almeno come mi hanno chiesto di interpretarlo), la gente viene da te e si lamenta di tutto, ti riempie le giornate di questioni, sei il luogo dove tutti vanno a sfogarsi. Poi arriva fine giornata, ti guardi attorno e il più delle volte a te non resta che sfogarti con qualcosa da mangiare o con uno degli oggetti che popolano la scrivania delle risorse umane (chi ha lavorato con me ha ben chiaro il numero di oggetti che occupavano spazio sul mio tavolo).
C'è da dire che è appagante partecipare alla riunioni. Far parte del gruppo HR significa far parte dell'elite dell'azienda quel gruppo ristretto che si riunisce settimanalmente per decidere del futuro dell'azienda. Bello, per carità, in genere passi le ore a far la figura di quello che non capisce il business e vuole solo ostacolare la corsa dell'azienda coi suoi cavilli contrattuali. Tecnicamente non capisci nulla e in più fai di tutto per impedire agli altri di generare profitto, il più delle volte sollevando questioni inutili. Tanto loro, i manager, hanno già parlato con la persona che non ha nessun problema a fare un turno di 24 ore e ad essere pagata in nero su un conto alle isole Caymann. Ah, dimenticavo, noi delle risorse umane siamo un costo. C'è da dire che l'aumentare della sensibilità sul tema sicurezza ha creato una figura che vive il nostro stesso disagio e a cui ci sentiamo affini: l' RSSP. Grazie di esistere.

Proseguo: se per il corridoio saluti qualcuno col quale leghi di più rovini la tua e la sua vita: “hai visto che quello delle HR prende il caffè con quello delle saldature? Chissà quanto prende adesso quello delle saldature, se le sceglie bene le amicizie”.
Una precisione: se per caso qualcuno entra nelle simpatie di uno delle HR e quello delle HR è una persona seria, questo qualcuno è quello che lo piglia più in quel posto di tutti, pagando lo scotto dell'amicizia. Chiedo scusa a quei quattro amici che mi son fatto al lavoro per la vita che hanno dovuto passare.
Ecco, veniamo al mio momento preferito: le retribuzioni. Ogni anno si discute delle retribuzioni e la frase è sempre “guardate, io vi avrei premiati tutti ma dalle HR mi hanno detto di stringere”.
In genere non succede così, succede più facilmente che le HR dicano “ci sono motivi per i quali Tizio son tre anni che non prende nulla (in genere sta sul cazzo al capo)? Mi pare abbia dei riscontri positivi, non ritieni giusto dargli un segnale?”. Quindi lotta serrata per fare in modo che tutti siano equilibrati. E non sapete che lotta, c'è gente che non ha idea di quanto valga il denaro che vuole darvi.
Poi, terminato tutto il giro, arriva il tuo capo che ti guarda e ti dice “sai com'è andata quest'anno, TU CI SEI DENTRO, era giusto incentivare Tizio, tenere sul pezzo Caio. Se vuoi ci sono due briciole ma facciamo così, il prossimo anno partiamo da te e le due briciole le accantoniamo per la formazione che so che c'è un corso che cerchi di pianificare da due anni”. Che culo, ci faccio benzina e la spesa col corso di formazione che voglio organizzare da due anni.
E la cosa assurda è che tutti pensano “guarda che culo quello delle HR, lui è l'unico che può trattare il suo aumento perché conosce i meccanismi”. Invece no, a te tocca invece essere felice. Parentesi, non sapete quante volte ho fatto incazzare la gente dando loro gli aumenti. La gente non riesce ad immaginare il lavoro che c'è dietro a quei 100/200 euro che gli stiamo dando. Ah, dimenticavo, i veri manager ragionano così: se c'è da dire a qualcuno che l'aumento promesso da loro senza alcun confronto è saltato, lo fai tu; se c'è da dare un aumento trovano sempre il tempo di fare la parata.
No, dai, a parte gli scherzi, occuparsi di HR è divertente. Intanto puoi partecipare ai corsi di formazione. Certo, spesso capita che il docente dica “guarda, gli altri ti vivrebbero come un controllore, mi mandi a puttane il setting d'aula, come faccio a fare il contratto psicologico. Magari fai un salto per il caffè a metà mattina”.
Ah, già il caffè. Ne ho già parlato prima, quando ho detto che le HR bevono il caffè da sole, sempre. In più hanno anche il potere di svuotare le salette caffè: tu entri e venti persone se ne vanno. Le prime volte pensi ad un problema di igiene personale poi capisci.
In compenso in mensa ti puoi rifare, c'è sempre un posto vuoto lontano dagli altri. Gli unici che si siedono con te sono i tuoi colleghi d'ufficio (e spera che siano simpatici) oppure chi ha bisogno di qualcosa. In genere viene verso di te col fare di chi ha capito la tua solitudine, ti sorride, apre le braccia e si siede. Se è molto bravo non ti chiede nulla, verrà da te nel tardo pomeriggio, se non è così smaliziato ti sotto porrà il problema fra un'insalata e un mandarino.
Infine, mentre voi fate cene, pranzi, tornei di calcio, calcetto, scopone, pesca e biglie da spiaggia noi siamo a casa, noi partecipiamo solo agli eventi ufficiali, per evitare di fare figli e figliastri. Alle cene ufficiali in genere ti tocca il tavolo con vecchie cariatidi che parlano di com'era il mondo quarant'anni prima mentre i tuoi ex compagni di liceo che non si occupano di risorse umane sono impegnati in un trenino, bevono come spugne oppure sono in disparte con la tipa dell'ufficio acquisti (in genere nell'ufficio acquisti c'è sempre una tipa molto carina).

Lasciamo perdere il discorso colloqui dove tutti sono convinti che tu chieda favori sessuali a tutte le candidate, poco importa se fai colloqui a 174 ingegneri uomini ogni anno e ti capita di vedere una ragazza solo quando cerchi la segretaria del Direttore Generale, che per l'occasione presidia pure il primo colloquio.
Ecco, quindi occuparsi di risorse umane non è un mestiere fatto di privilegi, ha beghe, guai e casini come tutti gli altri lavori. Soltanto, ogni tanto, siamo molto soli.

giovedì 19 gennaio 2012

Chi fa il proprio dovere può essere un eroe?

Adesso voglio dire la mia pure io.
La scorsa settimana è successa la tragedia della nave Costa all'isola del Giglio.
Da subito si è capito che dietro c'era un errore umano, forse una leggerezza.
Da come si evolvono le cose credo che per la manovra che ha comportato l'urto avremo quasi un "tutti colpevoli nessun colpevole", credo che il Capitano della nave non facesse quella manovra senza che altri lo sapessero. Ma sono mie impressioni date da letture di articoli di giornali, non da conoscenza dei fatti.
Ma questo non è quello di cui volevo parlare. Dopo pochi giorni sono venute fuori una serie di telefonate fra il Comandante della Capitaneria e il Capitano della nave da cui emerge una figura positiva (Capitaneria) ed una figura diciamo di profilo minore.
Non voglio abbattermi sul Capitano, le telefonate sono abbastanza chiare.
Volevo invece analizzare quello che è accaduto.
Prima è saltato fuori il colpevole e tutti a sparare, me per primo, indicandolo come raccomandato, inadeguato, mediocre ecc ecc. Poi si è osannato il Comandante della Capitaneria, autoritario e fermo nel gestire una situazione d'emergenza.
Poi, come da copione, sono venuti fuori quelli che non ci stanno, quelli che "poveretti voi che inneggiate una persona che ha fatto il suo dovere come fosse un eroe". Uno dei primi a partire con questa crociata contro la normalità è stato Beppe Severgnini. Io lo ammiro, secondo me è sempre attento e preparato. Poi è pure interista, lo sento doppiamente affine.
Però non si può dire che non dobbiamo trasformare in eroe chi era comodo sulla sua poltrona che faceva solo il suo dovere.
Due note in relazione a quello che ho sentito da questi detrattori degli eroi normali.
1. Non credo che con tutte quelle persone che rischiavano la vita sotto la sua tutela (o comunque in sua competenza) lui fosse tranquillo sulla sua poltrona come ci viene descritto dai nuovi detrattori. Cazzo, mica giocava alla play station. Certo non era in acqua, non rischiava la sua vita,  ma stava comunque gestendo una tragedia, non la normalità. Non sono cose che fai tutti i giorni. Non è come lo stuntman che arriva in moto in impennata e che ci vien da dire "lui però si allena tutti i giorni e tutti i giorni fa quello". Il Comandante è addestrato, certamente, ma la situazione d'emergenza non va' banalizzata. Certo non era a soccorrere fisicamente le persone però se ascoltate le telefonate si capisce che è una persona che si sta dannando per fare quello che andava fatto.
2. Per quale cazzo di motivo chi fa il proprio dovere non può essere un eroe? Io credo che in questo momento ci siano, ad esempio, centinaia di Vigili del Fuoco che stanno solo facendo il loro dovere E CHE SONO DEGLI EROI!!! Cari miei, gli eroi con la tutina non esistono, gli eroi sono queste persone che fanno il loro lavoro, sono addestrate e quando capita non fuggono ma restano lì e ci provano, in alcuni casi rischiando fisicamente in altri assumendo ruoli ei prendendo decisioni di cui devono rispondere. E non decidono il colore di una penna, decidono di vite umane. Pensate che si afacile ordinare ad una persona di tornare su una nave sapendo che si mette a repentaglio la vita di quella stessa persona? Io non so se ci sarei risucito. Mi viene in mente un pezzo di Caparezza, ascoltatelo, gli eroi sono quelli che fanno il loro dovere, ogni giorno. Non è banalizzare, è rendere merito a chi ci mette del proprio ogni giorno anche se addestrato.
Qualcuno pensa che questa sia normalità, che non siano atti eroici? Ma avete capito quello che è successo all'Isola del Giglio? Siete sicuri che quella fosse normalità? Non vi pare che di per sè fosse una situazione straordinaria e che alcuni si son chiamati fuori dal proprio dovere mentre altri no?
La divisa che indossa questa gente non protegge da nulla, ricordatevelo.

Tutto qua, avevo bisogno di sfogarlo perchè certe cose non mi fanno solo ridere.

martedì 17 gennaio 2012

Il nostro momento, lo dice Sugar


Chiarimento: questo post mi è uscito un po' così, forse troppo melodrammatico. Prendetelo con la consueta leggerezza ma pensate bene all'occasione che abbiamo. Adesso.

Cari coetanei trentenni,
Lo scorso week end ho giocato con Gaia e Giulia cercando su youtube sigle dei cartoni animati anni ottanta e inizio anni novanta.
E' stato uno spasso ma alla fine ho provato un gran senso di delusione verso la mia generazione.
Mi guardo attorno e vedo che tutto quello che è stato seminato nella nostra infanzia adesso non viene raccolto (vedi anche post precedente).
Ragazzi sveglia, siamo cresciuti circondati da ideali incredibili e adesso non li stiamo applicando.
Noi abbiamo avuto la formazione etica e morale per rivoluzionare il mondo e ci stiamo facendo scappare l'occasione.
Cito in maniera confusa e non alla lettera.
Noi siamo quelli che tifavamo per una principessa il cui “messaggio è pace, amore e libertà”.
Poi abbiamo imparato che il bene vince sempre, che i buoni sono i veri fighi. Che un buono che diventa cattivo poi ci ripensa mentre un cattivo può diventare buono e rimanerci.
Abbiamo il destinato a dominare il mondo che “come un angioletto su nel cielo volerai se ti innamorerai”. Cazzo, parliamo del diavolo!!!! Cioè, siamo cresciuti sapendo che se c'è l'amore anche quel satanasso di Devilman forse diventa buonone.
Non tutto però era facile, non siamo cresciuti come bamboccioni creduloni, sappiamo che “quanta fatica arrivare lassù ma stasera chi vince, fra mille rinunce”. Cioè non siamo cresciuti pensando fosse tutto facile e tutto dovuto.
Abbiamo imparato che “C'era allegria, c'era felicità ma la guerra è una follia” ma anche che “se qualcuno sorride a te un domani ancora c'è”. sempre grazie a quel dodicenne scalmanato siamo cresciuti sapendo che “Ci sono i sogni tutti quelli che fai che non moriranno mai” e che “C'è la speranza che d'ora in poi un futuro avremo noi” (d'ora in poi, non prima o poi).
Tutta questa roba ce l'hanno inculcata sin da piccoli.
Quindi sappiamo che il bene trionfa, che l'amicizia è un valore, che la felicità è un obiettivo cui tendere tutti i giorni, che potrebbe essere difficile, che i nemici ci faranno il mazzo ma che alla fine vinciamo noi, che nessuno è mai da dare per perso (vd. Devilman o anche Bem).
Forse gli adulti di allora ci hanno lasciato credere a tutte queste cose e poi ci hanno lasciato a confrontarci con la vita che a volte è dura e mina fortemente le nostre fondamenta, anche se fatte di valori veri.
Beh, allora vi dico una cosa. C'è un altro piccolo cartone animato che forse vi siete persi ma che dovete ritrovare. Lo dovete ritrovare perché dobbiamo cambiare il mondo, dobbiamo fare adesso quello che non abbiamo fatto a vent'anni. Adesso è il momento per mettere a frutto quello che abbiamo imparato, per tirar fuori i nostri valori, la nostra etica e stupire chi crede di averci zittito con precariato, crisi, insicurezza e paura. Tutto quello che gli altri hanno fatto non ha funzionato. Adesso è il nostro momento di provarci. Non aspettiamo di avere ottant'anni per reclamare il nostro turno di provarci, facciamolo adesso che abbiamo qualcosa da perdere e che non lo vogliamo perdere. Non lasciamo che chi non ha nulla da perdere scommetta sul nostro futuro. Facciamolo noi, che non vogliamo e possiamo permetterci di perdere.
Bene, il piccolo cartone animato che forse vi siete persi diceva semplicemente che “se la vita sotto la cintura picchierà, non aver paura forza Sugar”.
Ok, cari 4 lettori che mi leggete. Da oggi siamo tutti Sugar, la sigla continua dicendo che “mangerà la polvere chi sta davanti a te

lunedì 16 gennaio 2012

Tempo di semina di buoni propositi? Attenti al raccolto


Lo sapete vero che ogni modo di dire ha anche il suo contrario. Cioè i detti popolari, le perle di saggezza, i modi di dire non sono mai smentiti. Ogni modo di dire ha la sua nemesi (bubanò!!).
Bene, oggi invece volevo parlare di un detto che per anni ci ha confuso e ci ha portato a scarsi frutti.
Si dice che chi semina raccoglie. Poi ci sono mille varianti, chi semina vento raccoglie tempesta, chi semina buon grano avrà buon pane e altri.
Ma soffermiamoci sul principale: chi semina raccoglie.

Per anni ci siamo fatti il mazzo a seminare di tutto, seminare amicizie, seminare bene la nostra preparazione scolastica, seminare bene per il nostro fisico, seminare bene al lavoro, con l'altro sesso, in palestra in inverno e altro.
Bene, la semina è un momento fondamentale per ottenere un buon raccolto ma è con la raccolta dei frutti che si possono fare i danni.
Per ottenere dei buoni frutti occorrono buoni semi, occorre preparare il terreno e occorre il clima adatto (banalizzo, ovviamente).
Però è raccogliendo che corriamo un rischio. Una volta che il terremo è seminato si trattiene il fiato in attesa che il raccolto sia concluso.
Tutto questo per dire cosa? Non fermiamoci, non facciamoci bastare la semina, curiamo il nostro campo, seguiamolo e, quando finalmente arriva il momento di raccogliere i frutti, non facciamolo con la stanchezza di chi ha speso tanto per seminare ma con l'amore e la passione di chi si deve ancora guadagnare il suo compenso. Chi ci dice che abbiamo seminato bene e che dobbiamo stare tranquilli per il raccolto non fa il nostro bene, non ci mette in guardia da tutte quelle difficoltà che implica curare e veder fruttare un nostro progetto.
Quando avremo il frutto in mano, bello, gustoso e pieno della nostra passione, allora potremmo godercelo.
Non fermiamo la nostra passione solo perchè abbiamo seminato, rischiamo solo di rimanere delusi.

martedì 10 gennaio 2012

Reggere Vs Gestire


Eccomi nel mio nuovo ufficio, ricavato dietro la cassa del supermercato. Fa un po' freddo ma per il resto direi che sto bene.
Voglio ritornare sulla mia ultima scelta di vita, ultima perchè ultima fatta, non che non ne farò più.
Ho già detto che da un po' lavoro tantissimo. Diciamo che dal 20 novembre circa ho cominciato a lavorare almeno 10/12 ore al giorno con punte di 14/16. A dicembre ho lavorato anche le domeniche, non ho fatto un giorno di ferie, mi sono ammalato due giorni e mi sono “rotto” per altri tre giorni. Mi sono “rotto” nel senso che una parte del mio inossidabile e scultoreo fisico ha fatto crack, in questo caso però non ho mai lasciato il mio compito.
Mi sono anche incazzato molto, ho urlato, imprecato il giusto, sfogato tutto.
Insomma, se uno fa mente locale la conclusione è semplice: si stava meglio prima, molto meglio prima.
Domenica 08/01/2012
Perchè allora sono meno stanco, sorrido sempre, ho voglia di divertirmi e non mi mancano mai le forze per fare qualcosa?
Me lo sono chiesto, specialmente alla luce dell'ultima parte della domanda.
Ieri sera ero stanco morto, la giornata era stata lunga, però prima di andarmi a letto ho “composto” una colonna sonora con GarageBand (adesso capite il senso del “comporre”, con GarageBand sono quasi un genio pure io) dedicandogli comunque tempo e concentrazione, oltre che un minimo di creatività. Domenica mattina ero impresentabile, mi è venuta voglia di un giro in moto e sono andato e chi di voi è motociclista sa che andare in moto in inverno comporta almeno mezzora di vestizione.
In altri tempi avrei passato entrambe le cose, mi sarei andato a letto e avrei trovato un alibi per non uscire in moto.
Invece l'ho fatto.
Stamattina ho capito il perchè. Stamattina ho capito la differenza fra gestire e reggere.
Io appartengo alla categoria dei muli, il mio limite fisico alla stanchezza è la morte, altrimenti non mi fermo facilmente, in particolar modo se si parla di lavoro.
Quindi reggo molta fatica, molto carico psicologico (chi ha la malasorte di condividere con me la casa sa quanto carico psicologico mi è capitato di gestire), insomma sono uno che ha poco ingegno ma schiena e spalle forti.
Quindi posso reggere la fatica. Però la fatica costa e prima o poi la si paga. Ecco quindi che sono stato indolente, pigro, svogliato.
Diverso invece quello che posso gestire. Non si tratta di un discorso quantitativo ma qualitativo.
Qualitativamente se faccio qualcosa che non solo reggo ma addirittura posso gestire allora il mio fisico può stancarsi e periodicamente chiedere pegno ma io sarò comunque pronto, comunque voglioso, comunque attivo, comunque ottimista. Ovvio, per gestire intendo personalmente, non che necessariamente posso fare qualcosa per ridurre l'impegno.

Ecco, adesso ho capito la differenza, devo solo orientare la mia vita maggiormente verso quello che gestisco rispetto a quello che reggo.

Direi che questa riflessione la collego ancora al tema del talento. Il talento ha a che fare col gestire più che col reggere.

giovedì 5 gennaio 2012

Teletubbies e altruismo. Svelato un segreto


Io ho molta stima di mia figlia. Anche se adesso ha 15 mesi mi sembra faccia già cose incredibili.
Bene, questa è la premessa alla premessa.
La vera premessa è questa. L'altra mattina mi trovavo in bagno a prepararmi per il lavoro quando sento delle urla stridule dal soggiorno. Gaia era con Giulia e quindi non mi sono preoccupato di intervenire, non sentendo Giulia invocare il mio intervento.
Quando ho finito e sono arrivato in soggiorno ho trovato Gaia con le mani giunte, tipo preghiera, incantata a guardare i Teletubbies e Giulia che mi guardava con la faccia a punto interrogativo.
“Urlava per quei cosi?” ho chiesto.
La risposta è stata sì.
Vi garantisco che non c'è nulla che attiri maggiormente la sua attenzione che Tinky Winky, Dipsy, Laa-Laa, e Po.
Allora mi sono incuriosito e ho provato a guardare per qualche minuto, in occasioni diverse i quattro pupazzoni inglesi. Niente, non li capisco, non mi attirano. E dire che altri cartoni animati, anche da piccolini, attirano la mia attenzione.
Qual è il succo (o qual'è il succo, visto che adesso è figo sbagliare l'apostrofo)?
Ovviamente sono andato a studiarmi i Teletubbies. Ritmo lento, movimenti lenti, poche parole e ripetute, contesto senza troppi stimoli, attenzione visiva centrata sui pupazzoni che hanno fisicità confortevoli e che creano empatia coi piccoli (pare che abbiano anche loro il pannolino), personaggi distinguibili ma simili, frasi ripetute, immagini ripetute, giochi, risate, affetto.
E' chiaro adesso?
E' creato per i bambini, non per gli adulti. Non può piacere ad un adulto perché non è pensato per un adulto.
Gaia che mi convince della bellezza di Dipsy

Fine della premessa.
Veniamo al succo del mio post. L'altruismo. Credo di averne già parlato in un altro post ma sono pigro e non etichetto, quindi non me lo ritrovo.
L'altruismo è una virtù (lo è?!) che abbiamo perso e, quando la ritroviamo, si tratta di dare qualcosa di nostro a qualcuno. Possiamo dare tempo, risorse, cibo, attenzione, affetto. Qualunque “moto verso luogo” che parta da noi e vada verso gli altri è altruismo.
Bene, guardando i Teletubbies (e qui emerge il genio che mi contraddistingue) ho capito che l'altruismo non è dare ma è lasciare che altri prendano. Non è dare il mio tempo che mi rende altruista, è lasciare che gli altri lo prendano. Ok, non è del tutto vero, almeno non con il tempo (che alla soglia dei 34 mi rendo conto essere risorsa incredibile), però tutte le nostre azioni di altruismo dovrebbero prevedere una fase di attenzione verso i bisogni di chi riceve i o il nostro gesto.
Così come i Teletubbies sono studiati per i bambini non sono esigenze dei grandi trasferiti sui bambini, non insegnano a contare, leggere, distinguere le forme o altri obiettivi di sviluppo cognitivo che ogni adulto riversa con impazienza sulla propria progenie. Sono qualcosa nato per i bambini e come tale li diverte, attira la loro attenzione, li svaga, li calma.
La prossima volta che vogliamo essere altruisti facciamo come Andrew Davemport lo psicologo che ha studiato i bambini prima di stabilire i canoni dei Teletutbbies.
Io credo che il momento storico nel quale siamo e, ahimè, stiamo entrando richieda molta sensibilità sociale e che tale sensibilità passi anche attraverso i Teletubbies o meglio, l'ascolto degli altri. Continuare ad isolarci ci porterà solo ad essere isole.