Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

martedì 31 agosto 2010

Cambiamento e miglioramento - diritto e dovere

Ritrovo fra i miei documenti uno scritto molto bello di Nelson Mandela. Lo pubblico per una riflessione.

La nostra paura più profonda non è di essere inadeguati.
La nostra paura più profonda, è di essere potenti oltre ogni limite.
E’ la nostra luce, non la nostra ombra, a spaventarci di più.
Ci domandiamo: ” Chi sono io per essere brillante, pieno di talento, favoloso? “
In realtà chi sei tu per NON esserlo?
Siamo figli di Dio.
Il nostro giocare in piccolo, non serve al mondo.
Non c’è nulla di illuminato nello sminuire se stessi cosicchè gli altri
non si sentano insicuri intorno a noi.
Siamo tutti nati per risplendere, come fanno i bambini.
Siamo nati per rendere manifesta la gloria di Dio che è dentro di noi.
Non solo in alcuni di noi: è in ognuno di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente diamo agli altri la possibilità di fare lo stesso.
E quando ci liberiamo dalle nostre paure, la nostra presenza
automaticamente libera gli altri.
Nelson Mandela



Lo scritto è molto bello e molto significativo. Lasciando perdere i riferimenti di fede che ognuno vive a suo modo è molto bello il messaggio.
Ognuno di noi ha il dovere di sfruttare a pieno il suo talento, la sua eccezionalità.
Così come ognuno di noi ha la possibilità di migliorarsi, di crescere.
Bene, la riflessione inizia da qui: migliorare è una possibilità o un dovere. Siamo tenuti al miglioramento?
Io credo di sì, credo che il miglioramento possa contribuire al rendere più gratificante e piacevole la nostra esistenza, credo che la sfida al miglioramento sia fra quelle più gratificanti.
Però il miglioramento non deve ami essere fine a sè stesso, ci sono situazioni di eccellenza che debbono consolidarsi e per le quali può non essere funzionale il miglioramento.
Cambiare (o migliorare) per cambiare è uno dei rischi del nostro tempo.
Ogni azione deve essere fuznionale e non solo doverosa.

venerdì 27 agosto 2010

Delusioni e sorprese

Un giorno uno scorpione si ritrovò sulla riva di un fiume con la necessità di passare dall'altra parte.
Vide una rana a mollo e la chiamò: "Senti amica ranocchia, perchè non mi carichi e mi porti sull'altra sponda? Se passo da solo rischio di annegare, non è nella mia natura saper nuotare".
La ranocchia si avvicinò sospettosa ma poi decise di fidarsi e gli porse la schiena.
Lo scorpione salì, si posizionò e la traversata ebbe inizio.
A metà traversata, in un lampo, lo scorpione punse la ranocchia.
Mentre questa annegava quasi totalmente paralizzata riuscì a fissare lo scorpione e sussurrare un "Perchè l'hai fatto, ora morirai anche tu?".
Lo scorpione la guardò a sua volta mentre annaspava inutilmente in acqua e ribattè "Hai ragione, ma pungere è nella mia natura".

Cosa volevo dire con questo? Che ogni tanto rimaniamo delusi dalla persone ma che le volte che ci deludono sono molte meno rispetto alla volte in cui questa delusione ci deve stupire.
Ovvero, io non credo che le persone siano immutabili, anzi un giorno forse scriverò anche di cambiamento e di come sia effettivamente possibile se supportato dalla giusta motivazione (e non solo...e per ora mi fermo).
In questo post volevo solo sottolineare che nel rimanere delusi dobbiamo sempre tenere presente se la cosa ci deve o non ci deve stupire, se in effetti la delusione non sia in realtà quasi annunciata e non sia stato erroneo da parte nostra aspettarci risultati diversi.
Dobbiamo fare attenzione su chi riponiamo le nostre aspettative senza caricare gli altri della nostra delusione quando forse è solo la nostra incapacità di capire e scegliere le persone più idonee per un'attività, un favore, una missione o altro a determinare il fallimento.
Prendiamoci tempo per capire le persone, le loro caratteristiche, le loro motivazioni rispetto ad un'attività. Questo ci aiuterà a scegliere con attenzione, rimarremo sempre delusi, in molti casi, ma almeno saremo anche stupiti. E forse la delusione sarà legata ad una prestazione e non ad una persona.

mercoledì 25 agosto 2010

Ipersoluzione e limiti operativi

Un giorno uno scarafaggio osservando ammirato l'armoniosità e l'eleganza dei movimenti di un millepiedi gli disse "ciao amico, scusa ma sono stupefatto, come fai a cordinare tutti i movimenti, come fai a muoverti in maniera così precisa e sinuosa?".
Il millepiedi si fermò, lo guardò, guardò se stesso e disse "Non me lo sono mai chiesto".
Da allora il millepiedi cominciò a pensarci e non riuscì più a camminare come prima, ma iniziò ad inciampare e cadere ripetutamente.

Bene, ci sono situazioni che si risolvono da sole, ci sono momenti in cui tutto sembra andare bene con facilità e magari non ci chiediamo neppure perchè, come fa il millepiedi.
Ci sono però momenti in cui la soluzione ai nostri problemi pare non arrivare.
Alcuni di questi momenti si verificano per colpa della nostra tendenza all'ipersoluzione.
L'ipersoluzione è la soluzione senza compromessi, quella in cui non dobbiamo lasciare nulla rispetto alla perfezione cui aspiriamo.
Però questo non può accadere sempre, specialmente se e quando abbiamo a che fare con gli altri.
In questi casi è più importante trovare una soluzione, capire su quali aspetti si può mediare, imparare a riconoscere cosa per noi è importante sul serio, cosa è veramente soluzione e cosa invece è ipersoluzione.
Molto spesso non esiste un'ipersoluzione ai nostri problemi e il nostro limite è nel continuare a cercarla, senza concentrarsi su altro, farci bloccare dalla chimera di una soluzione senza se e senza ma.
Questa costante ricerca del santo-gral delle soluzione è anche un potente inibitore dell'azione, blocca la nostra proattività, il nostro fare.
In più la ricerca dell'ipersoluzione porta inevitabilmente ad aprire nuovi fronti, a considerare più variabili ad allargare il problema invece che scomporlo in parti più piccole e più semplici.
Come scritto sopra, nei rapporti fra le persone si evidenziano maggiormente i limiti della ricerca dell'ipersoluzione. Nella gestione dei conflitti entrambi hanno in mente la soluzione perfetta e questo può bloccare il confronto e la ricerca di una soluzione che sia un compromesso, genera staticità nei rapporti.

Non è sbagliato avere in mente di cercare la soluzione perfetta, secondo me, è sbagliato che questa ricerca ci porti a perdere di vista il problema e ci rallenti nella nostra operatività.

Comunque, se vi interessa approfondire: "di bene in peggio" di P. Watzlawick

martedì 24 agosto 2010

Cosa accadrà da ora in avanti

In questi primi giorni di blog mi sono allenato a scrivere alcune cose, riprendendo spunti dal passato, concretizzando pensieri vaghi.
Ho finalmente deciso che talgio dare quello che scrivo.
Ho deciso di condividere le mie opinioni, le mie letture del mondo.

Riporto una storiella per partire.
Un giorno una madre disperata portò suo figlio da Gandhi e gli disse:
"Maestro, mio figlio mangia troppo zucchero, come posso afre, aiutatemi, ditegli che è sbagliato".
Gandhi rispose: "Torni fra quindici giorni".
Passati i giorni la madre ritornò con il figlio da Gandhi, che, guardando il ragazzo, disse: "Non mangiare così tanto zucchero".
la madre allora si rivolse al maestro e disse: "perchè non gliel'ha detto quindici giorni fa, quando ci siamo visti la prima volta?"
"Perchè quindici giorni fa anche io mangiavo troppo zucchero".

Bene, cosa vuole dire questa storia? Che prima di dare consigli dobbiamo avere la nostra coscienza a posto? Che per dare un consiglio prima dobbiamo averlo vissuto?
Chissà.
Ecco come la leggo io.
Oggigiorno ci sono "decinaia" di modi di comunicare e infernet facilita l'anonimato. Ognuno può trovarsi un ruolo ed un posto nuovo dietro ad un avatar, un nickname, un log, ecc ecc.
Esistono blog, forum, social network.
Ognuno di questi "luoghi del virtuale" è pieno di consigli, opinioni, letture.
E' quello che sto facendo esattamente io adesso.

Ecco secondo me questa storia vuole insegnarci che adesso che comunichiamo tutti di più non dobbiamo perdere l'occasione di mantenerci reali.

Internet ci rende astratti ed anonimi, anche diversi.
Però non ci può nascondere. Esiste una realtà, diverse chiavi di lettura sicuramente, ma una sola realtà e non dobbiamo lasciarci confondere da essa.
Quante volte prendiamo per buono quanto leggiamo da qualche parte solo perchè l'abbiamo letto? Capita anche a me, davanti a emerite sciocchezze metto in gioco la mai conoscenza, il mio sapere, solo perchè è scritto da qualche parte.

Ecco, in questo mio spazio troverete il mio pensiero e alcune volte anche i miei consigli.
Il mio manifesto programamtico sarà però sempre quello di invitarvi a verificare e sperimentare, siamo in un momento cruciale in cui dobbiamo mantenerci reali.

lunedì 23 agosto 2010

Un po' di buone maniere - come presentarsi ad un ricevimento

Ritrovato un vecchio articolo della versione cartacea di Cosekeso, anno 2003.

"Alcuni flash destrutturati.
Se ricevete un invito ad una festa con l'indicazione cravatta nera sappiate che siete tenuti ad indossare uno smoking, altrimenti vi sentireete a disagio, con lo smoking, ricordate, non si portano decorazioni di alcun tipo. La vostra compagna è tenuta ad indossare un abito da sera, senza cappello ma con i guanti. Mi raccomando i guanti si sfilano prima di entrare nel salone da pranzo, si indossano per ballare.
Se sull'invito c'è l'indicazione cravatta bianca allora vi è richiesto un frac/marsina, col quale non si indossa l'orologio da polso ma da taschino. La signora porterà invece un abito lungo da gran sera, senza cappello, e guanti. Attenzione, smoking e frac solo dopo le ore 21.00.
Se invece la cena non è formale potrete trovare l'indicazione abito scuro, che per le signore implica un abito da mezza sera o abito da passeggio, in questo caso le signore possono indossare anche un abito da pomeriggio, quindi corto. Per abito scuro si intende indossato con camicia bianca e cravatta sobria."

Beh, sempre utile anche a distanza di anni.

giovedì 19 agosto 2010

equilibrio fra soddisfazione e insoddisfazione

La sottile linea fra il "chi si accontenta gode" e gli "eterni insoddisfatti".

Canta Ligabue che chi si accontenta gode così e così.
In un certo senso ha ragione.
Stavo leggendo le diverse critiche che puntualmente vengono mosse nei confronti dei prodotti Apple, nuovo bersgalio di tutti i superuser di tecnologie del mondo.
Io utilizzo poca tecnologia e pochi prodotti Apple (iPhone e iPod) ma mi fanno molta gola, mi appaiono facili, smart.
Leggo però di critiche aspre riguardo le varie inefficienze e deficienze dei diversi prodotti.
Mi chiedo però quali di queste critiche impattano realmente su un utilizzatore come me.
Di conseguenza mi chiedo qual è il limite fra accontentarsi e quindi godere così e così e il non essere mai soddisfatti.
Un altro esempio. Ci sono persone che criticano il tipo di moto che ho io (l'ho già scritto che vado in moto) perchè dicono che in alcune nazioni, dovessi rimanere appiedato, sarebbe difficile trovare ricambi.
Io rifletto dicendo che la critica è corretta ma che l'uso limitato che ne faccio io fa sì che l'osservazione sia inadeguata.
Quindi l'essere limitato mi rende soddisfatto....hmmm non è che mi piaccia molto come suono.
Quante volte leggiamo di critiche non dimensionate con l'utilizzo della maggior parte degli utenti? Non voglio entrare nel merito del mestiere del critico, delle sue analisi e delle valutazioni che ne fa ma voglio considerare l'atteggiamento umano che mi sembra di notare.
Pare che il detto "chi si accontenta gode" sia riduttivo della persona. Pare che se uno si accontenta sia uno che non vive fino in fondo, che si perde qualche aspetto importante. Pare che accontentarsi sia da mediocri. Il miglioramento continuo ci ha drogato?
Sarà vero? Non ne ho idea, io personalmente credo di preferire una vita fatta di godimento ad una fatta di insoddisfazione. Però non voglio neppure rischiare di perdermi tutto il possibile.
Quindi? Dov'è la risposta? Come sempre la risposta è nel sottile confine fra un aspetto ed un altro.
Vi sono persone che si accontentano di poco e spesso è un peccato perchè potrebbero avere di più e altre che non si accotnentano mai, che si perdono il bello del qui ed ora affogate di insoddisfazione.

Beh, credo che metterò fra i buoni propositi quello di riuscire sempre a mantenere questo equilibrio.

mercoledì 18 agosto 2010

Long Way Up - Un viaggio vecchio un anno

Eccomi a raccontare questo viaggio.
Il tutto è nato a maggio, avevamo già abbozzato una vacanza in moto in Corsica, fatta di brevi escursioni, tanto mare, riposo e pesce. Poi ci si è messo mio babbo che coi suoi amici è andato 10 giorni in giro per Spagna e Portogallo, in moto.
A quel punto, una sera di maggio, in un Pub di Ravenna, ho lanciato l’idea: “e se cambiassimo vacanza ed andassimo a Stonehenge?”.
Una settimana per metabolizzare la cosa e poi è cominciata la preparazione.
I protagonisti: Il Divoratore, Johnny Got The Blues, DiscoLady, Testa di Melone e io. Le moto: Transalp XL700 (DiscoLady ed io); Kawasaky Versys (Testa di Melone e Divoratore); Trumph Bonneville (Johnny Got The Blues).
Parte della preparazione è stata anche fisica, corsetta serale per me e il Divoratore, esercizi per la schiena ed una pallina di spugna da schiacciare al fianco del pc, al lavoro, per rinforzare gli avambracci in vista delle vibrazioni: volevamo essere pronti ai 4000km con moto cariche e Zavorrine.
Poi abbiamo abbozzato il percorso, scegliendo di fare l’andata attraverso Svizzera e Francia ed il ritorno attraverso Belgio, Germania e Austria. Abbiamo definito le regole: partenza la mattina entro le 9.30, tappe di max 300/350km, arrivo sempre entro le 17.00. Ognuno ha indicato un paio di cose che voleva fare, vedere e abbiamo lasciato libero il resto. Non abbiamo prenotato nulla, per essere liberi di valutare se fermarci in un posto un giorno in più, se cambiare meta, ecc.


Il primo giorno ci siamo sparati fuori dall’Italia, attraverso il passo del San Gottardo, fino ad Altdorf.
Arrivare in Svizzera è stata una corsa entusiasta fra file ai caselli, caldo infernale e tensione nell’ascoltare le prime reazioni delle moto cariche come SUV.
Il fisico ha retto a questi primi km e anche le moto hanno risposto bene al carico. Ad Altdorf ci siamo imbattuti in una festa animata e vivace, oltre che nella statua di Guglielmo Tell. Gli auspici sembravano positivi o almeno, il nostro stato emotivo ci portava a percepire tutto in maniera positiva.

Appena dopo l’ingresso in città mi rendo conto di essere già passato da Altdorf quasi 10 anni prima, quando con mio babbo andammo in Svizzera per vendere castagne ai supermercati. La riconosco proprio da un supermercato. Il primo ma non l’unico tuffo nel passato.
Le moto erano pesanti ma pian piano anche in questa versione diventavano famigliari, anche se nei tornanti le mie borse laterali erano molto vicine all’asfalto.

La sera faccio un check up delle mie emozioni, l’apprensione che ha caratterizzato la partenza ed i gironi precedenti sta svanendo, il rilassamento ed il godimento stanno arrivando, finalmente.
Il giorno successivo il cielo prima si oscura e poi arriva la pioggia e, per me, dolore alla cervicale. Ci aspettavamo giorni di pioggia, i miei studi dicevano 3 o 4 in tutto, eravamo pronti, e fortunatamente avevamo accumulato km di vantaggio sul percorso ideale e siamo arrivati a Strasburgo.


Lungo la strada abbiamo cominciato ad assaporare gli spazi ampi e distesi della Francia che ci avrebbero accompagnato fino a Calais. La Francia è così, tranquillizzante, km dopo km ti si presenta uguale e i cambiamenti sono talmente graduali che ti ritrovi da bosco a campagna pensando di essere nello stesso posto.
A Strasburgo una doccia ed un cerotto magico mi rimettono in sesto. Sono un po’ cupo ma lo capisco e cerco di navigare la cosa. La cenetta alla Volpe Parlante è di aiuto, il giro per la città europea mi riporta alle porte della gioia e del rilassamento. Per il resto il morale è alto, la stanchezza è meno di quella che si pensava, il viaggio sembra possibile, adesso. Già, siamo partiti senza essere certi di farcela. Anzi, diversi ritenevano che avessimo puntato un viaggio troppo lungo, troppo difficile, per essere alle prime armi e anche fra di noi la sicurezza non c’era. Son bastati due gironi di moto per capire che saremmo arrivati e anche tornati. Strasburgo ci fa cominciare ad assaporare il Nord, queste città vive, piene di iniziativa e voglia di godersi l’estate.



La mattina dopo colazione in un bar e la fatale distrazione, magari per la foga di gustare un ultimo espresso: un marsupio dimenticato sulla moto per pochi minuti ci è stato portato via. All’interno cellulari, soldi, documenti. Il Divoratore era distrutto, meditava di rientrare, di abbandonare la missione al terzo giorno. La rabbia era così forte e così intrisa di senso di colpa che il Divoratore sembrava stordito, era abbattuto e, siccome lo conosco, una sua preoccupazione è stata sicuramente quella di aver creato un problema a noi, ai suoi amici e compagni di viaggio.
La cosa peggiore che mi è capitata di vedere in vacanza è stata un amico disarmato, abbattuto, che non riusciva a trovare alternative. Il morale era a terra, non c’erano soluzioni, la rabbia è durata un attimo, l’abbattimento e il senso di sconfitta erano le emozioni ricorrenti. Ormai restava solo far denuncia e sfruttare la carta di credito di Testa di Melone (compagna del Divoratore) per tornare.
Poi il sequestro emotivo passa, la mente si schiarisce ed il Divoratore passa dal problema alla soluzione.
Fa la denuncia alla Gendarmerie, corre in ambasciata, si fa spedire dei soldi attraverso Wester Union (Grazie a Testa di Melone, vedere una prima soluzione ad una parte del problema lo rende meno insormontabile). Intanto noi ci godiamo un altro po’ di Strasburgo controllando i cestini e chiamando il cellulare rubato, meglio non lasciare nulla di intentato. Mancano ancora i documenti ma con la denuncia forse si può tentare di arrivare almeno a Calais. L’entusiasmo non è tornato ma il rientro è scongiurato. L’indomani ci aspetta una sosta a Metz per andare in ambasciata.
Strasburgo – Metz è una corsa contro il tempo, arriviamo ad ambasciata aperta e noi abbiamo un po’ di tempo per goderci la città che però meriterebbe più attenzioni e più tempo. Aspettiamo il Divoratore di ritorno dall’ambasciata pazzeggiando in giro fra strade gialle e il mercato coperto coi suoi odori e sapori antichi, di quelli che mi ricordano le foto dei miei nonni e la loro bancarella di pesce. A Metz è uguale, il pesce con il suo odore di mare e freschezza, i formaggi dall’aroma corposo, la frutta e la verdura, colorate e solari e la carne, rossa e invitante. Esco dal mio giro al mercato con i succi gastrici stimolati dalla vista di tutto quel ben di Dio. Quando ci raggiungono l’unica novità è che in Inghilterra non può andare, mannaggia.
In compenso ha una lunga lista di ambasciate e consolati in Europa da contattare, la speranza ancora c’è. La speranza è che alla stessa domanda ci diano risposte diverse. Non così raro, in fondo.

Proseguiamo quasi sospesi attraverso l’infinita campagna francese, bellissima, con il grano appena tagliato che forma dune che sembrano deserto e alberi isolati e coraggiosi. Il caldo penetra nei nostri giubbotti e si fa sentire, ci fermiamo lungo la strada per goderci un po’ d’erba e ombra e poi arriviamo fino a Verdun
per una bevuta rinfrescante. Questa zona è piena di campi di battaglia della grande guerra, ogni paese che attraversiamo ha la sua dose di sofferenza e ricordo. Arriviamo a Reims, stanchi per il lungo giro. La città un po’ ci delude ma forse è solo l’umore. C’è da dire che, per essere la zona dello Champagne abbiamo visto pochissime viti, forse abbiamo sbagliato qualche cosa. In compenso ci stupisce un suo abitante, che ringrazio ancora, che si offre di farci strada fino ad una zona con alberghi. Un ragazzo giovane, con l’aria un po’ sperduta e un po’ stordita. Comunque una persona gentile, non sarà l’unica del nostro viaggio.

La sera il nuovo piano si delinea: decidiamo che arriveremo a Calais, e lì il Divoratore ci aspetterà mentre noi passiamo tre giorni in Inghilterra. Una volta ricongiunti rientreremo sperando che Shengen ci permetta di passare inosservati in Belgio e Germania, per non stravolgere il programma. Nella mia testa invece comincio già a pensare a come rientrare passando dalla Francia, si può fare, trovare alternative migliora il mio umore, a Reims l’abbattimento è un ricordo.
La mattina dopo ripartiamo con l’unico vero stravolgimento al piano iniziale, invece di puntare il Nord e Calais Johnny ha smania di vedere il mare e ci dirigiamo a Nord Est, con l’idea di farci un pezzo di costa fino a Calis. Proprio mentre cominciamo a convincerci delle soluzioni, i problemi si schiariscono ulteriormente e a Stella Plaige, fra un bagno di sole ed un fritto nasce una nuova idea: il Divoratore chiama casa e si fa spedire a Calais il passaporto via DHL.
Saliamo in moto con nuovi sorrisi e bruciamo la strada fra Stella e Calais lanciando un veloce sguardo a Boulogne sur Mer e agli scorci di Manica che ogni tanto intravediamo.
Arriviamo a Calais stanchi, convivono stanchezza fisica, mentale ed entusiasmo per la nuova risposta ai problemi. Dopo cinque giorni di viaggio maturo una mia decisione: per cinque giorni sono stato quasi in silenzio, appoggiando decisioni e soluzioni, cercando di dominare l’istinto prevaricatore che si annida in me; adesso ho deciso che sarò più presente, in fondo son fatto così, gli altri lo sanno.
La sera siamo a Calais, il passaporto è atteso domani, cominciano le ipotesi, ritorniamo ad essere frizzanti. Nel frattempo Johnny si è ritagliato un paio d’ore per godersi la costa del Nord della Francia, alla ricerca di un faro da fotografare. La ricerca ha portato poco ma ci racconta di strade belle e tortuose, di quelle che è divertente fare a moto scarica.
Col passaporto sarà possibile andare in Inghilterra anche se manca sempre la patente. Ormai il rischio val la pena di essere corso.
Nel frattempo giriamo Calais città di mare con sottofondo di gabbiani e gente di porto. Pesce, carne e molto fritto. E’ il Nord della Francia. Scopriamo anche una mostra fotografica dedicata all’ambiente, bella, significativa, allarmante.
Ora che siamo di nuovo a regime decidiamo che l’andata in Inghilterra sarà in traghetto mentre il ritorno con l’Eurotunnel.
Il giorno dopo, il sesto del nostro viaggio, saliamo sul traghetto, direzione le bianche scogliere di Dover.
Superare gli ostacoli fa crescere l’entusiasmo, l’impresa è ogni giorno più fattibile.
Arriviamo a Dover e, per prendere dimestichezza con la guida a sinistra, decidiamo di percorrere qualche miglio e di alloggiare ad Ashford. Il passaggio in Inghilterra ci ha fatto guadagnare un’ora per via di Greenwich. La guida a sinistra all’inizio è problematica ma dentro al casco penso che in macchina, con l’impostazione per guidare a destra, sarebbe molto peggio. Basta far dimestichezza con le rotonde ed evitare di dover svoltare a destra, impresa improba, specialmente a fine giornata.
Johnny ci fa notare che sulla cartina Dover è a destra e che quindi dovremmo svoltare solo a sinistra.
Ad Ashford troviamo alloggio in un pub dopo che la signora che lo gestisce ha fatto traslocare alcuni avventori per farci posto, altra persona gentile del nostro viaggio.
Di colpo, l’idea di dormire in un pub ci trasforma da trentenni a ventenni. Ashford non piace più di tanto, quella sera pare una città fantasma. Le nostre camere ed i bagni sono quanto meno particolari, da ventenni ci sentiamo di colpo cinquantenni lamentosi. Ci laviamo in maniera avventurosa e riusciamo ad essere pronti per la sera.
In giro non succede quasi nulla, l’animosità delle città che abbiamo incrociato da Altdorf in avanti contrasta con questo primo scorcio inglese. Solo il nostro pub è vivo, è una serata microfono aperto per tutti i suonatori e birra a fiumi per gli astanti. Ci stringiamo attorno ad un tavolino avvolti nell’Amuchina, siamo pur sempre nel paese della febbre suina ed ascoltiamo band di giovani di ieri che suonano e si mischiano sul palco dando vita a formazioni sempre diverse. Il livello è appena sopra alla Corrida ma è comunque divertente e piacevole. Un ubriacone che si invaghisce di mia moglie anima un po’ la mia serata, ma è innocuo, conclude semplicemente dicendo che sono un uomo fortunato. Ha ragione. Andiamo a letto stanchi, spranghiamo le porte mentre i gorgheggi dei bevitori nel cortile riempiono l’aria fino a notte inoltrata.
La mattina dopo ha un sapore speciale, si punta a Stonhenge, il nostro obiettivo. Facciam colazione con me e Johnny che canticchiamo la canzone del Gladiatore, per caricare ancora di più la truppa.
Poi pioggia, fine fine, sole e caldo, per km.
Alla fine Stonehenge.
Il nostro primo obiettivo è centrato, siamo arrivati, siamo ai piedi dei pietroni. L’Inghilterra del Sud è bellissima, verdissima, ordinata, i paesi che attraversiamo sembrano figli di un unico pensiero, anche la guida a sinistra diventa famigliare, se non fosse per le rotonde contromano.
E’ piacevole anche mangiare km in autostrada, il panorama è nuovo e anche le zavorrine se la passano.
I paesaggi si susseguono, i paesi hanno tutti le stesse caratteristiche, i colori sono saturi.
Attraversare il Sud dell’Inghilterra è veramente un attimo.

Passiamo un po’ di tempo a Stonehenge, ognuno raccolto a modo suo. Io faccio foto, le zavorrine si accucciano in meditazione, il Divoratore assapora l’aria come un felino e Johnny disegna e si isola.
Ripartiamo in direzione Glastonbury o meglio, Avalon. Prossima tappa sarà il nostro giro di boa, il punto più lontano da casa. Glastonbury è un incanto, piena di misticismo, uno di quei posti dove storie, miti e leggende si confondono e si perdono nei
secoli.
E’ talmente magica che non ci perdiamo per raggiungerla, nonostante la guida al contrario e la stanchezza.
Troviamo posto in un pub, come sempre chiediamo di parcheggiare le moto. Sul retro, ci indicano.
Arrivati sul retro ci viene incontro un uomo sul metro novanta, spalle importanti, cinquantenne, capelli lunghi, grigi e sfibrati. Tatuaggi e piercing ovunque, vestiti in pelle e due occhi pallati che ci fissano. I suoi occhi mi ricordano quelli di un husky tanto sono chiari. Agita le lunghe braccia e blatera qualcosa verso il Divoratore, che non parla molto inglese, con lo stesso timbro di voce dell’uomo nero dei miei sogni di bambino. Quando mettiamo il cervello in modalità inglese capiamo che ci dice che è pericoloso lasciare le moto lì, che la sera c’è il rischio ce chi frequenta il pub ci si appoggi, le faccia cadere o peggio. Io da poco cuor di leone dico agli altri che se un soggetto così mi dice che un posto è pericoloso io ci credo. Alla fine mi sento di poterlo inserire fra le persone gentili incontrate nel viaggio. Andiamo via e finiamo a dormire in un bed & breakfast incantato, gestito da una tranquilla e piacevole signora, con parcheggio interno e abbondante colazione. Ci ripaga di tutte le fatiche. E’ il posto dove decidiamo di fare il bucato e dove reimposto completamente il carico della moto, ripiego le magliette e verifico l’attrezzatura.
La mattina successiva è molto mistica, fra i resti dell’abazia, la tomba di Re Artù, il Biancospino, la salita al Tor. Momenti molto intimi e molto belli.
Il pomeriggio si girano le moto e si inizia il rientro. E’ la prima volta che partiamo di pomeriggio e lo facciamo dopo una buona camminata. Il viaggio non dovrebbe essere lungo.
Passiamo Southampton, Chichestern (gemellata con Ravenna) e arriviamo fino a Folkestone, dopo una infruttuosa ricerca di un albergo lunga 60 km. Per un attimo abbiamo anche pensato di tornare in Francia la sera stessa, abbattuti per l’infruttuosa ricerca di un letto. Sarebbe un indegno saluto all’avventurosa Albione. Invece un’altra persona gentile ci aiuta a trovare alloggio a Folkestone e questa volta il merito è di Johnny che sicuramente l’ha sedotta con il suo inglese e il suo fascino italiano.
L’albergo si affaccia sulla Manica.
Al risveglio, prima di partire, incontriamo 4 ragazzi di Roma che in vespa (PX 125 e 150) puntano a Londra. Eroi. Per un attimo sento svilita la nostra missione, ma è solo un attimo. Attimo durante il quale però nasce l’idea per il prossimo viaggio.
Noi finalmente andiamo al tunnel, passeremo sotto la manica.
Obiettivo della giornata viene fissato in Bruxelles.
L’esperienza del tunnel di per sé è abbastanza povera, mezzora nel vagone di un treno in compagnia della moto, ma rientra nello spirito della vacanza: se non lo facciamo questa volta, che altre occasioni avremo. I controlli alle moto animano un po’ l’imbarco, escono un paio di tipi alla C.S.I., mi chiedono se porto armi, cosa tengo nelle valige e passano un tampone su tutte le giunture dei bagagli per poi scomparire dentro una porta. Quando ne escono abbiamo il permesso di tornare nel continente.
La giornata si conclude in Belgio, a Bruxelles, dopo aver attraversato Dunkerque e Brugge e tutta la campagna belga, ricca di mucche e pale eoliche, che invidia, le pale non le mucche.
Adesso sono decisamente rilassato, la metà l’abbiamo raggiunta ed ogni km me lo godo con nuova serenità, nuova goduria.
Bruxelles è bellissima, viva e golosa. Incontriamo una festa House in un parco, suonatori di violino in centro, cioccolaterie con cascate di cioccolata, birrerie con produzione propria. Insomma merita ampiamente il passaggio e la sosta. La mattina, mentre come sempre aspetto i miei compagni facendo un po’di ginnastica, mi intrattengo con due motociclisti francesi. Loro non parlano inglese, io non parlo francese ma riusciamo a raccontarci i nostri viaggi, le nostre tappe. Sono sorpresi del nostro giro. Comincio a rendermi conto che aver affrontato tutti quei km me li rende semplici mentre chi mi sente da fuori ancora si stupisce. Sono anche abbastanza convinto che uno dei due ci sia rimasto male perché il mio Givi è più grande del suo, non per fare lo psicologo ma mi sembra che avere il Givi piccolo lo frustri oltre misura.
Lussemburgo, meta del giorno dopo, ci delude un po’, poca vita e tutta molto, molto turistica, pre confezionata. Fra l’altro la strada che ci porta fino a Lussemburgo è stata breve e ripetitiva. Anche qui, pale eoliche.

Ripartiamo all’alba dell’undicesimo giorno con la pioggia. Fortunatamente dura poco (meno del tempo che mi ci vuole per togliere il Kway e indossarlo).
Ci aspetta il sesto stato, la foresta nera ed un tuffo nel passato.
Il nostro obiettivo giornaliero è Stoccarda ma prima ci fermiamo a Speyer, città tedesca gemellata con Ravenna dove Johnny ed io andammo ai tempi del liceo per uno scambio culturale. Tuffo nel passato con ricordi e aneddoti del 1996, giretto per la città, molto bella, anche lei meriterebbe più tempo e credo
che un giorno l’avrà. Quindi ripartenza per Stoccarda.
Stoccarda è piaciuta a tutti meno che a me. L’abbiamo vista molto poco, solo un parco (immenso) e un po’ il centro. Personalmente non mi ha lasciato molto, forse con più tempo la apprezzerei.
Molto più bello è stato trovarsi in mezzo alla foresta nera. Fresca, verde, affascinate. Un po’ di guida rilassata ma attenta, dove guardare le curve e non solo le macchine.
La mattina dopo partiamo per Monaco, il ritorno in Italia si avvicina.
Il viaggio verso Monaco è stato bello, difficile e stancante.
La prima parte è stata una continuazione del giorno prima, l’ultima parte disastrosa. Ma è stato comunque bello e divertente perderci, non trovare aiuto per ore e alla fine, come sempre, imbattersi in qualcuno di gentile che, a gesti, ci ha indirizzato correttamente.
Anche arrivati a Monaco veniamo aiutati da un’altra persona molto gentile che ci trova un albergo con un giro di telefonate.
Passiamo due giorni nella capitale della baviera fra birra, passeggiate, brezel, musica. Alla partenza il pensiero comune è lo stesso: bisogna tornarci. Monaco merita di essere frequentata, merita di diventare famigliare. Ci ero già stato, sempre per un paio di giorni e l’impressione era stata la stessa.
Me lo appunto, magari questo autunno un salto possiamo farcelo.
Monaco Innsbruck è una sgambata prima del grande rientro via Brennero.
Ad Innsbruck c’è già aria di rientro, in tanti capiscono se parliamo in italiano, il confine è dietro l’angolo. Solo il caffè continua ad essere lontano dall’essere accettabile ma in questi casi l’errore è ordinarlo. Il girono dopo siamo sull’A22, si torna a casa. A Verona tolgo l’imbottitura alla giacca.

Totale 4.143 km.

La mia Transalp, carica come un mulo, non ha perso un colpo, sempre pronta, brillante.
L’hanno ammirata in tutta Europa, specialmente motociclisti e bambini.
Donne e uomini attempati invece erano attratti più dal Bonneville di Johnny.
Questo è stato il primo viaggio che ho fatto con la moto. Ho scoperto la moto un anno fa, ho puntato deciso sul Transalp e ne sono soddisfatto. Abbiamo fatto tanti km avendo pochissima esperienza ma preparandoci bene. Eravamo attrezzati e in forma e questo è stato fondamentale. E’ l’unico consiglio che mi sento di dare.
Siamo stati fortunati col meteo, abbiamo preso un solo vero giorno d’acqua mentre eravamo in moto, per il resto poche gocce insignificanti.
Abbiamo scelto una meta perché ci interessava il viaggio ed il viaggio è stato speciale. Abbiamo visitato 7 nazioni, guidato a sinistra, parlato lingue diverse, mangiato e bevuto cose diverse.
Abbiamo fatto strade bellissime ma anche tanta pallosa autostrada, siamo stati in gruppo ma anche da soli, dentro il casco.

Grazie.
Grazie ai miei 4 compagni di viaggio, le loro emozioni hanno arricchito ogni km.
Grazie alla mia zavorrina, trovare il suo sorriso nello specchietto era la mia benzina.
Grazie al Divoratore per aver risolto i problemi riversando altro entusiasmo, grazie a Testa di Melone perché per prima ha dimostrato che i problemi si possono affrontare, grazie a Johnny Got The Blues perché lui c’è sempre in queste occasioni.
Grazie a mio babbo per lo stimolo e l’energia che sentivo arrivarmi ogni mattina e ad ogni sms, a Stefy, Rita e Gianni per lo scudo d’amore che ci avete mandato da Ravenna, ci ha protetto.
Grazie a tutti i motociclisti che abbiamo incrociato, è bello raccontare la propria storia ed ascoltare quella degli altri.
Grazie alla Nutella ed alla colazione da campione, grazie all’Amuchina, allo spray antiforatura che non è servito, grazie agli italiani all’estero.
Grazie al tonico naturale di mia mamma, preso la mattina avrebbe svegliato anche Lazzaro.
Grazie ai bambini che ci salutavano dalle macchine, loro hanno capito che eravamo supereroi su delle fantastiche navicelle spaziali.
Grazie alle persone gentili, questo mondo un po’ vi penalizza confondendo gentilezza e debolezza ma voi siete un motore importante.

martedì 17 agosto 2010

Basta che ognuno faccia il proprio dovere

Pausa caffè.
Leggo affissa al muro del mio ufficio un frase di Falcone che sostanzialmente dice che per far funzionare le cose è necessario/sufficiente che ognuno faccia il proprio dovere.
Quanto è semplice ma vera questa frase.
Certo, fare il proprio dovere ha significati differenti, specialmente se confrontiamo quello che può avere in mente un uomo di Stato così votato al bene comune come Falcone e il senso del dovere di ognuno di noi.
Però credo che in questa frase la vera forza sia proprio la semplicità.
Ovvero, basta che ognuno faccia il proprio dovere.
Questa mattina mentre ero in moto ci pensavo, pensavo ai governi italiani degli ultimi 10/15 anni, da quando ho più o meno la capacità di seguire un po' delle vicende politiche.
Pensavo a Berlusconi e mi sono accorto che gli riconosco una colpa molto grande. Quella di non aver fatto il suo dovere, almeno non quanto avrebbe potuto.
La continuità politca di cui ha potuto godere lui è abbastanza straordinaria.
In questi ultimi 10/15 è stato l'unico che ha avuto veramente la possibilità di portare cambiamento in Italia e la sua colpa, a mio modesto parere, è di non averlo fatto fino in fondo.
Probabilmente ha fatto molto, ma non abbastanza. Credo che per sistemare uno stato disgraziato come il nostro possano e debbano bastare 4/5 anni, non di più, specialmente se si ha una mentalità aziendalistica molto spinta.
Credo che non sia necessario inventarsi nulla, basta cercare le eccellenze dove già ci sono, attorno a noi.
Mi è capitato di girare l'Europa e sono convinto che solo guardando ai paesi europei si possano trovare eccellenze da copiare ed errori da evitare. Credo che un po' più di apertura al cambiamento ci possa aiutare ma credo che se non si voglia cambiare sia poi difficile che succeda.
Purtroppo è da un po' che ho la sensazione che ogni attività politica, dai livelli più locali fino al governo dello Stato, abbia perso lungimiranza. Mi sembra che ogni decisione politica abbia una profondità temporale che non supera i 2/3 anni. Nessuno pensa oltre. Invece bisognerebbe pensare ad azioni strutturali che possano impattare anche fra 10/15/20anni. Il probelma è che fare un progetto con questa valenza temporale implica non prendersi gli applausi, significa iniziare qualcosa e non goderne i beneifici del successo. Questo è il reale problema.
Una volta i faraoni costruivano tombe magnificenti perchè rimanesse traccia del loro passaggio sulla terra, i re inalzavano palazzi che potessero parlare di loro. L'obiettivo dei nostri politici non riesce a guardare così lontano, non si riesce a pensare a soluzioni che diano frutti oltre al nostro passaggio.
Così ogni legge, ogni manovra, si deve concretizzare e deve scadere nel giro di un paio d'anni (quando dura a lungo) in modo che chi l'ha voluta possa goderne i vantaggi ed il successo.
Forse questo egoismo ci limita, ci spinge ad avere progetti ed idee limitate e non ci fa vedere soluzioni od idee che venagono da altri.
E tutto questo è un peccato.
La diversità è un'opportunità, come dicevo malamente ieri, se però la guardiamo e non la sfruttiamo è solo un peso.
Dovremmo smettere di pensare solo a cosa succederà domani e comicniare a chiedere ai nostri politici di dirci cosa hanno in mente per i nostri figli e nipoti, come pensano di dargli le basi scolastiche ed accademiche per governare l'Italia di domani, per curarci quando saremo vecchi, ecc ecc.
Ma ormai abbiamo imparato a pensare a noi stessi,a quello che succederà domani a dove saremo e che vantaggi avremo subito, non fra qualche anno.

lunedì 16 agosto 2010

Biodiversità e un pensiero sulla società

Ieri sera leggevo un po' di un libro molto bello.
E' un libro che aspettavo da anni senza sapere che ci stessero lavorando, ma questo non è di interesse.
Mi sono rimasti in mente due concetti che gli autori (più d'uno, evidentemente) inseriscono in due passaggi.
In uno dicono che il segreto per far  vivere in pace una comunità è la tolleranza, nel secondo che la diversità è il vero valore aggiunto.
Quello della diversità è un concetto che mi ronza in testa fin dai tempi del liceo, il mio professore di biologia insistette un anno intero ribadendo l'importanza della biodiversità, il valore aggiunto che possono dare le differenze.
E' vero, è un concetto che ho fatto mio e che mi piace ritrovare ogni tanto anche in altri.
Ne manca però un pezzo importante, a mio avviso.
La biodiversità è un valore aggiunto, le differenze possono veramente arricchire, però serve anche l'intelligenza per poterle apprezzare/sfruttare. Sento continuamente dire che il "diverso" da noi non ci deve spavenatare ma ci deve arricchire. Il problema è che tutta questa differenza è come una bella tavola apparecchiata di piatti gustosi, se non ti siedi e cominci a mangiare non ti sazi.
Molto spesso sento persone ribadire che la diversità è la vera forza di una comunità ma non è solo così.
Il poter attingere da questa diversità, il poter comprendere e poi scegliere da questa diversità è il vero valore aggiunto. Capire cosa può essere migliore e cosa no, non è detto che tutto quello che "non siamo noi" sia per forza migliore.
Poter scegliere avendo compreso è il vero valore aggiunto.

venerdì 6 agosto 2010

Fotografare, vedere e sfumature importanti

Ieri sera mi son trovato ad aspettare alcuni amici in riva la mare, prima di cena.
Nel pomeriggio si era scatenato un temporale, il mare era piatto, lucido e la spiaggia aveva ancora la sabbia compatta e bagnata. Il sole tramontava alle mie spalle e il cielo preparava il nuovo temporale che si sarebbe abbattuto da lì ad un paio d'ore.
L'immagnine era motlo bella.
Mi son pentito di non aver preso con me la macchina fotografica ma ho lo stesso deciso di immortalare la scena con il mio cellulare.
Mentre risalivo lungo la passerella fino allo stabilimento ho pensato che un giorno vorrei fare una mostra fotografica dal titolo "delle volte il fotografo non serve ad un cazzo" per sottolineare come ci siano spettacoli così belli che l'unico rishcio che può correre chi scatta (ma forse anche chi dipinge) è di rovinare tutto.
In fin dei conti è sempre così, quando abbiamo a che fare con la natura.
Quando cuciniamo l'unica cosa che possiamo realmente fare è limitare i danni, cercare di non rovinare.
Bisognerebbe aver eil tempo per osservare meglio quello che ci circonda, mi piace fotografare proprio per questo, per poter stare fermo a valutare quello che mi circonda.
Non è tanto la foto, è il prendermi il tempo di "vederla" e scattarla.
Mi piace fotografare quello che mi colpisce, panorami, cose buffe, situazioni simpatiche.
Non sono un fotografo e non ho soggetti preferiti. Quando avevo deciso di imparare a fotografare l'indicazione che mi hanno dato che più mi è piaciuta è stata "ogni tanto poniti ad un livello diverso di quello dei tuoi occhi e ogni tanto ricordati di girarti in dietro, la tua foto potrebbe essere dietro di te".
Non ho imparato molto a fotografare, per pigrizia, ma ho imparato ad osservare.

Adesso non mi resta che dare un nome a ciò che osservo, imparare a dare le sfumature alle mie percezioni, ma questo è uno dei motivi per cui occupo spazio virtuale, per imparare che c'è differenza fra stupore e meraviglia, che rimpianto e rammarico hanno sfumature diverse e che in alcuni momenti sono in estasi, in altri euforico e che non si chiama sempre e solo gioia.

giovedì 5 agosto 2010

Per iniziare

Prima o poi da qualche parte dovrò cominciare.
Sono molto pronto per quello che potrebbe accadere se dovessi prendere buon ritmo nel gestire un blog ma lo sono molto poco per romepre il ghiaccio.
Vorrei riproporre qualcosa che ho già scritto a suo tempo sull'originale CoseKeso ma allo stesso tempo credo che qualcosa di originale sarebbe meglio.

Vada per qualcosa di originale.

ieri pomeriggio e ieri sera parlavo di emozioni e di percezioni. La riflessione partiva da una affermaizone che ho in uno dei mille fogli appesi in ufficio e che recita "il percepito è più vero del reale".
Cosa significa. Significa che in una stanza se io ho caldo e il mio collega ha freddo nessuno dei due ha torto, semplicmente la percezione di uno stimolo è differente.
Ora, cosa si intende per percezione. Può funzionare: la percezione è il modo in cui i nostri recettori processano gli stimoli che vengono dall'esterno. Teniamo questa.

Gli stimoli classicamente sono olfatto, suono, tatto, vista, gusto.
La percezione può essere più complessa perchè ad uno stimolo, o ad una combinazione di stimoli viene associata anche un'emozione.

Quindi lo stesso stimolo può generare emozioni diverse. Il percepito (reazione soggettiva) è più vero del reale....
Ora, può trarre in inganno che vi sia una certa continuità statistica: ad uno stimolo 90 persone su 100 reagiscono allo stesso modo ma questo non significa che sia oggettivo.

Ecco, forse se poensassimo a questo potremmo più facilmente accettare di non comprendere le reazioni degli altri, non bloccarci sugli stereotipi, non pensare che in noi c'è la sola verità.

Beh, come inziio basta, magari ci guardo in un altromomento, adesso ho già mal di testa.