Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

mercoledì 18 agosto 2010

Long Way Up - Un viaggio vecchio un anno

Eccomi a raccontare questo viaggio.
Il tutto è nato a maggio, avevamo già abbozzato una vacanza in moto in Corsica, fatta di brevi escursioni, tanto mare, riposo e pesce. Poi ci si è messo mio babbo che coi suoi amici è andato 10 giorni in giro per Spagna e Portogallo, in moto.
A quel punto, una sera di maggio, in un Pub di Ravenna, ho lanciato l’idea: “e se cambiassimo vacanza ed andassimo a Stonehenge?”.
Una settimana per metabolizzare la cosa e poi è cominciata la preparazione.
I protagonisti: Il Divoratore, Johnny Got The Blues, DiscoLady, Testa di Melone e io. Le moto: Transalp XL700 (DiscoLady ed io); Kawasaky Versys (Testa di Melone e Divoratore); Trumph Bonneville (Johnny Got The Blues).
Parte della preparazione è stata anche fisica, corsetta serale per me e il Divoratore, esercizi per la schiena ed una pallina di spugna da schiacciare al fianco del pc, al lavoro, per rinforzare gli avambracci in vista delle vibrazioni: volevamo essere pronti ai 4000km con moto cariche e Zavorrine.
Poi abbiamo abbozzato il percorso, scegliendo di fare l’andata attraverso Svizzera e Francia ed il ritorno attraverso Belgio, Germania e Austria. Abbiamo definito le regole: partenza la mattina entro le 9.30, tappe di max 300/350km, arrivo sempre entro le 17.00. Ognuno ha indicato un paio di cose che voleva fare, vedere e abbiamo lasciato libero il resto. Non abbiamo prenotato nulla, per essere liberi di valutare se fermarci in un posto un giorno in più, se cambiare meta, ecc.


Il primo giorno ci siamo sparati fuori dall’Italia, attraverso il passo del San Gottardo, fino ad Altdorf.
Arrivare in Svizzera è stata una corsa entusiasta fra file ai caselli, caldo infernale e tensione nell’ascoltare le prime reazioni delle moto cariche come SUV.
Il fisico ha retto a questi primi km e anche le moto hanno risposto bene al carico. Ad Altdorf ci siamo imbattuti in una festa animata e vivace, oltre che nella statua di Guglielmo Tell. Gli auspici sembravano positivi o almeno, il nostro stato emotivo ci portava a percepire tutto in maniera positiva.

Appena dopo l’ingresso in città mi rendo conto di essere già passato da Altdorf quasi 10 anni prima, quando con mio babbo andammo in Svizzera per vendere castagne ai supermercati. La riconosco proprio da un supermercato. Il primo ma non l’unico tuffo nel passato.
Le moto erano pesanti ma pian piano anche in questa versione diventavano famigliari, anche se nei tornanti le mie borse laterali erano molto vicine all’asfalto.

La sera faccio un check up delle mie emozioni, l’apprensione che ha caratterizzato la partenza ed i gironi precedenti sta svanendo, il rilassamento ed il godimento stanno arrivando, finalmente.
Il giorno successivo il cielo prima si oscura e poi arriva la pioggia e, per me, dolore alla cervicale. Ci aspettavamo giorni di pioggia, i miei studi dicevano 3 o 4 in tutto, eravamo pronti, e fortunatamente avevamo accumulato km di vantaggio sul percorso ideale e siamo arrivati a Strasburgo.


Lungo la strada abbiamo cominciato ad assaporare gli spazi ampi e distesi della Francia che ci avrebbero accompagnato fino a Calais. La Francia è così, tranquillizzante, km dopo km ti si presenta uguale e i cambiamenti sono talmente graduali che ti ritrovi da bosco a campagna pensando di essere nello stesso posto.
A Strasburgo una doccia ed un cerotto magico mi rimettono in sesto. Sono un po’ cupo ma lo capisco e cerco di navigare la cosa. La cenetta alla Volpe Parlante è di aiuto, il giro per la città europea mi riporta alle porte della gioia e del rilassamento. Per il resto il morale è alto, la stanchezza è meno di quella che si pensava, il viaggio sembra possibile, adesso. Già, siamo partiti senza essere certi di farcela. Anzi, diversi ritenevano che avessimo puntato un viaggio troppo lungo, troppo difficile, per essere alle prime armi e anche fra di noi la sicurezza non c’era. Son bastati due gironi di moto per capire che saremmo arrivati e anche tornati. Strasburgo ci fa cominciare ad assaporare il Nord, queste città vive, piene di iniziativa e voglia di godersi l’estate.



La mattina dopo colazione in un bar e la fatale distrazione, magari per la foga di gustare un ultimo espresso: un marsupio dimenticato sulla moto per pochi minuti ci è stato portato via. All’interno cellulari, soldi, documenti. Il Divoratore era distrutto, meditava di rientrare, di abbandonare la missione al terzo giorno. La rabbia era così forte e così intrisa di senso di colpa che il Divoratore sembrava stordito, era abbattuto e, siccome lo conosco, una sua preoccupazione è stata sicuramente quella di aver creato un problema a noi, ai suoi amici e compagni di viaggio.
La cosa peggiore che mi è capitata di vedere in vacanza è stata un amico disarmato, abbattuto, che non riusciva a trovare alternative. Il morale era a terra, non c’erano soluzioni, la rabbia è durata un attimo, l’abbattimento e il senso di sconfitta erano le emozioni ricorrenti. Ormai restava solo far denuncia e sfruttare la carta di credito di Testa di Melone (compagna del Divoratore) per tornare.
Poi il sequestro emotivo passa, la mente si schiarisce ed il Divoratore passa dal problema alla soluzione.
Fa la denuncia alla Gendarmerie, corre in ambasciata, si fa spedire dei soldi attraverso Wester Union (Grazie a Testa di Melone, vedere una prima soluzione ad una parte del problema lo rende meno insormontabile). Intanto noi ci godiamo un altro po’ di Strasburgo controllando i cestini e chiamando il cellulare rubato, meglio non lasciare nulla di intentato. Mancano ancora i documenti ma con la denuncia forse si può tentare di arrivare almeno a Calais. L’entusiasmo non è tornato ma il rientro è scongiurato. L’indomani ci aspetta una sosta a Metz per andare in ambasciata.
Strasburgo – Metz è una corsa contro il tempo, arriviamo ad ambasciata aperta e noi abbiamo un po’ di tempo per goderci la città che però meriterebbe più attenzioni e più tempo. Aspettiamo il Divoratore di ritorno dall’ambasciata pazzeggiando in giro fra strade gialle e il mercato coperto coi suoi odori e sapori antichi, di quelli che mi ricordano le foto dei miei nonni e la loro bancarella di pesce. A Metz è uguale, il pesce con il suo odore di mare e freschezza, i formaggi dall’aroma corposo, la frutta e la verdura, colorate e solari e la carne, rossa e invitante. Esco dal mio giro al mercato con i succi gastrici stimolati dalla vista di tutto quel ben di Dio. Quando ci raggiungono l’unica novità è che in Inghilterra non può andare, mannaggia.
In compenso ha una lunga lista di ambasciate e consolati in Europa da contattare, la speranza ancora c’è. La speranza è che alla stessa domanda ci diano risposte diverse. Non così raro, in fondo.

Proseguiamo quasi sospesi attraverso l’infinita campagna francese, bellissima, con il grano appena tagliato che forma dune che sembrano deserto e alberi isolati e coraggiosi. Il caldo penetra nei nostri giubbotti e si fa sentire, ci fermiamo lungo la strada per goderci un po’ d’erba e ombra e poi arriviamo fino a Verdun
per una bevuta rinfrescante. Questa zona è piena di campi di battaglia della grande guerra, ogni paese che attraversiamo ha la sua dose di sofferenza e ricordo. Arriviamo a Reims, stanchi per il lungo giro. La città un po’ ci delude ma forse è solo l’umore. C’è da dire che, per essere la zona dello Champagne abbiamo visto pochissime viti, forse abbiamo sbagliato qualche cosa. In compenso ci stupisce un suo abitante, che ringrazio ancora, che si offre di farci strada fino ad una zona con alberghi. Un ragazzo giovane, con l’aria un po’ sperduta e un po’ stordita. Comunque una persona gentile, non sarà l’unica del nostro viaggio.

La sera il nuovo piano si delinea: decidiamo che arriveremo a Calais, e lì il Divoratore ci aspetterà mentre noi passiamo tre giorni in Inghilterra. Una volta ricongiunti rientreremo sperando che Shengen ci permetta di passare inosservati in Belgio e Germania, per non stravolgere il programma. Nella mia testa invece comincio già a pensare a come rientrare passando dalla Francia, si può fare, trovare alternative migliora il mio umore, a Reims l’abbattimento è un ricordo.
La mattina dopo ripartiamo con l’unico vero stravolgimento al piano iniziale, invece di puntare il Nord e Calais Johnny ha smania di vedere il mare e ci dirigiamo a Nord Est, con l’idea di farci un pezzo di costa fino a Calis. Proprio mentre cominciamo a convincerci delle soluzioni, i problemi si schiariscono ulteriormente e a Stella Plaige, fra un bagno di sole ed un fritto nasce una nuova idea: il Divoratore chiama casa e si fa spedire a Calais il passaporto via DHL.
Saliamo in moto con nuovi sorrisi e bruciamo la strada fra Stella e Calais lanciando un veloce sguardo a Boulogne sur Mer e agli scorci di Manica che ogni tanto intravediamo.
Arriviamo a Calais stanchi, convivono stanchezza fisica, mentale ed entusiasmo per la nuova risposta ai problemi. Dopo cinque giorni di viaggio maturo una mia decisione: per cinque giorni sono stato quasi in silenzio, appoggiando decisioni e soluzioni, cercando di dominare l’istinto prevaricatore che si annida in me; adesso ho deciso che sarò più presente, in fondo son fatto così, gli altri lo sanno.
La sera siamo a Calais, il passaporto è atteso domani, cominciano le ipotesi, ritorniamo ad essere frizzanti. Nel frattempo Johnny si è ritagliato un paio d’ore per godersi la costa del Nord della Francia, alla ricerca di un faro da fotografare. La ricerca ha portato poco ma ci racconta di strade belle e tortuose, di quelle che è divertente fare a moto scarica.
Col passaporto sarà possibile andare in Inghilterra anche se manca sempre la patente. Ormai il rischio val la pena di essere corso.
Nel frattempo giriamo Calais città di mare con sottofondo di gabbiani e gente di porto. Pesce, carne e molto fritto. E’ il Nord della Francia. Scopriamo anche una mostra fotografica dedicata all’ambiente, bella, significativa, allarmante.
Ora che siamo di nuovo a regime decidiamo che l’andata in Inghilterra sarà in traghetto mentre il ritorno con l’Eurotunnel.
Il giorno dopo, il sesto del nostro viaggio, saliamo sul traghetto, direzione le bianche scogliere di Dover.
Superare gli ostacoli fa crescere l’entusiasmo, l’impresa è ogni giorno più fattibile.
Arriviamo a Dover e, per prendere dimestichezza con la guida a sinistra, decidiamo di percorrere qualche miglio e di alloggiare ad Ashford. Il passaggio in Inghilterra ci ha fatto guadagnare un’ora per via di Greenwich. La guida a sinistra all’inizio è problematica ma dentro al casco penso che in macchina, con l’impostazione per guidare a destra, sarebbe molto peggio. Basta far dimestichezza con le rotonde ed evitare di dover svoltare a destra, impresa improba, specialmente a fine giornata.
Johnny ci fa notare che sulla cartina Dover è a destra e che quindi dovremmo svoltare solo a sinistra.
Ad Ashford troviamo alloggio in un pub dopo che la signora che lo gestisce ha fatto traslocare alcuni avventori per farci posto, altra persona gentile del nostro viaggio.
Di colpo, l’idea di dormire in un pub ci trasforma da trentenni a ventenni. Ashford non piace più di tanto, quella sera pare una città fantasma. Le nostre camere ed i bagni sono quanto meno particolari, da ventenni ci sentiamo di colpo cinquantenni lamentosi. Ci laviamo in maniera avventurosa e riusciamo ad essere pronti per la sera.
In giro non succede quasi nulla, l’animosità delle città che abbiamo incrociato da Altdorf in avanti contrasta con questo primo scorcio inglese. Solo il nostro pub è vivo, è una serata microfono aperto per tutti i suonatori e birra a fiumi per gli astanti. Ci stringiamo attorno ad un tavolino avvolti nell’Amuchina, siamo pur sempre nel paese della febbre suina ed ascoltiamo band di giovani di ieri che suonano e si mischiano sul palco dando vita a formazioni sempre diverse. Il livello è appena sopra alla Corrida ma è comunque divertente e piacevole. Un ubriacone che si invaghisce di mia moglie anima un po’ la mia serata, ma è innocuo, conclude semplicemente dicendo che sono un uomo fortunato. Ha ragione. Andiamo a letto stanchi, spranghiamo le porte mentre i gorgheggi dei bevitori nel cortile riempiono l’aria fino a notte inoltrata.
La mattina dopo ha un sapore speciale, si punta a Stonhenge, il nostro obiettivo. Facciam colazione con me e Johnny che canticchiamo la canzone del Gladiatore, per caricare ancora di più la truppa.
Poi pioggia, fine fine, sole e caldo, per km.
Alla fine Stonehenge.
Il nostro primo obiettivo è centrato, siamo arrivati, siamo ai piedi dei pietroni. L’Inghilterra del Sud è bellissima, verdissima, ordinata, i paesi che attraversiamo sembrano figli di un unico pensiero, anche la guida a sinistra diventa famigliare, se non fosse per le rotonde contromano.
E’ piacevole anche mangiare km in autostrada, il panorama è nuovo e anche le zavorrine se la passano.
I paesaggi si susseguono, i paesi hanno tutti le stesse caratteristiche, i colori sono saturi.
Attraversare il Sud dell’Inghilterra è veramente un attimo.

Passiamo un po’ di tempo a Stonehenge, ognuno raccolto a modo suo. Io faccio foto, le zavorrine si accucciano in meditazione, il Divoratore assapora l’aria come un felino e Johnny disegna e si isola.
Ripartiamo in direzione Glastonbury o meglio, Avalon. Prossima tappa sarà il nostro giro di boa, il punto più lontano da casa. Glastonbury è un incanto, piena di misticismo, uno di quei posti dove storie, miti e leggende si confondono e si perdono nei
secoli.
E’ talmente magica che non ci perdiamo per raggiungerla, nonostante la guida al contrario e la stanchezza.
Troviamo posto in un pub, come sempre chiediamo di parcheggiare le moto. Sul retro, ci indicano.
Arrivati sul retro ci viene incontro un uomo sul metro novanta, spalle importanti, cinquantenne, capelli lunghi, grigi e sfibrati. Tatuaggi e piercing ovunque, vestiti in pelle e due occhi pallati che ci fissano. I suoi occhi mi ricordano quelli di un husky tanto sono chiari. Agita le lunghe braccia e blatera qualcosa verso il Divoratore, che non parla molto inglese, con lo stesso timbro di voce dell’uomo nero dei miei sogni di bambino. Quando mettiamo il cervello in modalità inglese capiamo che ci dice che è pericoloso lasciare le moto lì, che la sera c’è il rischio ce chi frequenta il pub ci si appoggi, le faccia cadere o peggio. Io da poco cuor di leone dico agli altri che se un soggetto così mi dice che un posto è pericoloso io ci credo. Alla fine mi sento di poterlo inserire fra le persone gentili incontrate nel viaggio. Andiamo via e finiamo a dormire in un bed & breakfast incantato, gestito da una tranquilla e piacevole signora, con parcheggio interno e abbondante colazione. Ci ripaga di tutte le fatiche. E’ il posto dove decidiamo di fare il bucato e dove reimposto completamente il carico della moto, ripiego le magliette e verifico l’attrezzatura.
La mattina successiva è molto mistica, fra i resti dell’abazia, la tomba di Re Artù, il Biancospino, la salita al Tor. Momenti molto intimi e molto belli.
Il pomeriggio si girano le moto e si inizia il rientro. E’ la prima volta che partiamo di pomeriggio e lo facciamo dopo una buona camminata. Il viaggio non dovrebbe essere lungo.
Passiamo Southampton, Chichestern (gemellata con Ravenna) e arriviamo fino a Folkestone, dopo una infruttuosa ricerca di un albergo lunga 60 km. Per un attimo abbiamo anche pensato di tornare in Francia la sera stessa, abbattuti per l’infruttuosa ricerca di un letto. Sarebbe un indegno saluto all’avventurosa Albione. Invece un’altra persona gentile ci aiuta a trovare alloggio a Folkestone e questa volta il merito è di Johnny che sicuramente l’ha sedotta con il suo inglese e il suo fascino italiano.
L’albergo si affaccia sulla Manica.
Al risveglio, prima di partire, incontriamo 4 ragazzi di Roma che in vespa (PX 125 e 150) puntano a Londra. Eroi. Per un attimo sento svilita la nostra missione, ma è solo un attimo. Attimo durante il quale però nasce l’idea per il prossimo viaggio.
Noi finalmente andiamo al tunnel, passeremo sotto la manica.
Obiettivo della giornata viene fissato in Bruxelles.
L’esperienza del tunnel di per sé è abbastanza povera, mezzora nel vagone di un treno in compagnia della moto, ma rientra nello spirito della vacanza: se non lo facciamo questa volta, che altre occasioni avremo. I controlli alle moto animano un po’ l’imbarco, escono un paio di tipi alla C.S.I., mi chiedono se porto armi, cosa tengo nelle valige e passano un tampone su tutte le giunture dei bagagli per poi scomparire dentro una porta. Quando ne escono abbiamo il permesso di tornare nel continente.
La giornata si conclude in Belgio, a Bruxelles, dopo aver attraversato Dunkerque e Brugge e tutta la campagna belga, ricca di mucche e pale eoliche, che invidia, le pale non le mucche.
Adesso sono decisamente rilassato, la metà l’abbiamo raggiunta ed ogni km me lo godo con nuova serenità, nuova goduria.
Bruxelles è bellissima, viva e golosa. Incontriamo una festa House in un parco, suonatori di violino in centro, cioccolaterie con cascate di cioccolata, birrerie con produzione propria. Insomma merita ampiamente il passaggio e la sosta. La mattina, mentre come sempre aspetto i miei compagni facendo un po’di ginnastica, mi intrattengo con due motociclisti francesi. Loro non parlano inglese, io non parlo francese ma riusciamo a raccontarci i nostri viaggi, le nostre tappe. Sono sorpresi del nostro giro. Comincio a rendermi conto che aver affrontato tutti quei km me li rende semplici mentre chi mi sente da fuori ancora si stupisce. Sono anche abbastanza convinto che uno dei due ci sia rimasto male perché il mio Givi è più grande del suo, non per fare lo psicologo ma mi sembra che avere il Givi piccolo lo frustri oltre misura.
Lussemburgo, meta del giorno dopo, ci delude un po’, poca vita e tutta molto, molto turistica, pre confezionata. Fra l’altro la strada che ci porta fino a Lussemburgo è stata breve e ripetitiva. Anche qui, pale eoliche.

Ripartiamo all’alba dell’undicesimo giorno con la pioggia. Fortunatamente dura poco (meno del tempo che mi ci vuole per togliere il Kway e indossarlo).
Ci aspetta il sesto stato, la foresta nera ed un tuffo nel passato.
Il nostro obiettivo giornaliero è Stoccarda ma prima ci fermiamo a Speyer, città tedesca gemellata con Ravenna dove Johnny ed io andammo ai tempi del liceo per uno scambio culturale. Tuffo nel passato con ricordi e aneddoti del 1996, giretto per la città, molto bella, anche lei meriterebbe più tempo e credo
che un giorno l’avrà. Quindi ripartenza per Stoccarda.
Stoccarda è piaciuta a tutti meno che a me. L’abbiamo vista molto poco, solo un parco (immenso) e un po’ il centro. Personalmente non mi ha lasciato molto, forse con più tempo la apprezzerei.
Molto più bello è stato trovarsi in mezzo alla foresta nera. Fresca, verde, affascinate. Un po’ di guida rilassata ma attenta, dove guardare le curve e non solo le macchine.
La mattina dopo partiamo per Monaco, il ritorno in Italia si avvicina.
Il viaggio verso Monaco è stato bello, difficile e stancante.
La prima parte è stata una continuazione del giorno prima, l’ultima parte disastrosa. Ma è stato comunque bello e divertente perderci, non trovare aiuto per ore e alla fine, come sempre, imbattersi in qualcuno di gentile che, a gesti, ci ha indirizzato correttamente.
Anche arrivati a Monaco veniamo aiutati da un’altra persona molto gentile che ci trova un albergo con un giro di telefonate.
Passiamo due giorni nella capitale della baviera fra birra, passeggiate, brezel, musica. Alla partenza il pensiero comune è lo stesso: bisogna tornarci. Monaco merita di essere frequentata, merita di diventare famigliare. Ci ero già stato, sempre per un paio di giorni e l’impressione era stata la stessa.
Me lo appunto, magari questo autunno un salto possiamo farcelo.
Monaco Innsbruck è una sgambata prima del grande rientro via Brennero.
Ad Innsbruck c’è già aria di rientro, in tanti capiscono se parliamo in italiano, il confine è dietro l’angolo. Solo il caffè continua ad essere lontano dall’essere accettabile ma in questi casi l’errore è ordinarlo. Il girono dopo siamo sull’A22, si torna a casa. A Verona tolgo l’imbottitura alla giacca.

Totale 4.143 km.

La mia Transalp, carica come un mulo, non ha perso un colpo, sempre pronta, brillante.
L’hanno ammirata in tutta Europa, specialmente motociclisti e bambini.
Donne e uomini attempati invece erano attratti più dal Bonneville di Johnny.
Questo è stato il primo viaggio che ho fatto con la moto. Ho scoperto la moto un anno fa, ho puntato deciso sul Transalp e ne sono soddisfatto. Abbiamo fatto tanti km avendo pochissima esperienza ma preparandoci bene. Eravamo attrezzati e in forma e questo è stato fondamentale. E’ l’unico consiglio che mi sento di dare.
Siamo stati fortunati col meteo, abbiamo preso un solo vero giorno d’acqua mentre eravamo in moto, per il resto poche gocce insignificanti.
Abbiamo scelto una meta perché ci interessava il viaggio ed il viaggio è stato speciale. Abbiamo visitato 7 nazioni, guidato a sinistra, parlato lingue diverse, mangiato e bevuto cose diverse.
Abbiamo fatto strade bellissime ma anche tanta pallosa autostrada, siamo stati in gruppo ma anche da soli, dentro il casco.

Grazie.
Grazie ai miei 4 compagni di viaggio, le loro emozioni hanno arricchito ogni km.
Grazie alla mia zavorrina, trovare il suo sorriso nello specchietto era la mia benzina.
Grazie al Divoratore per aver risolto i problemi riversando altro entusiasmo, grazie a Testa di Melone perché per prima ha dimostrato che i problemi si possono affrontare, grazie a Johnny Got The Blues perché lui c’è sempre in queste occasioni.
Grazie a mio babbo per lo stimolo e l’energia che sentivo arrivarmi ogni mattina e ad ogni sms, a Stefy, Rita e Gianni per lo scudo d’amore che ci avete mandato da Ravenna, ci ha protetto.
Grazie a tutti i motociclisti che abbiamo incrociato, è bello raccontare la propria storia ed ascoltare quella degli altri.
Grazie alla Nutella ed alla colazione da campione, grazie all’Amuchina, allo spray antiforatura che non è servito, grazie agli italiani all’estero.
Grazie al tonico naturale di mia mamma, preso la mattina avrebbe svegliato anche Lazzaro.
Grazie ai bambini che ci salutavano dalle macchine, loro hanno capito che eravamo supereroi su delle fantastiche navicelle spaziali.
Grazie alle persone gentili, questo mondo un po’ vi penalizza confondendo gentilezza e debolezza ma voi siete un motore importante.

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