Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

mercoledì 29 settembre 2010

Adesso è self management

Ricordo bene il mio primo anno alle superiori, quasi 18 anni fa.
Scelsi il liceo scientifico e una sezione con una sperimentazione che si rivelò molto pesante all'epoca e molto interessante col senno di poi.
Non sono mai stato una persona particolarmentre esibizionista e quindi ancora non mi spiego (e neppure ricordo) perchè mi proposi di fare il rappresentante di classe i primi due anni.
Comunque fui eletto, forse per mancanza di alternative o forse per lungimiranza dei miei compagni.

Ricordo però la prima assemblea di classe, coi professori.
Avevo raccolto le richieste dei compagni e tutte vertevano sul fatto che avevamo una mole di lavoro a casa spropositata, secondo i nostri canoni.
Ve lo immaginate un ragazzetto con la riga da una parte, la camicia nei pantaloni lievemente sblusata, che si presenta al consiglio di classe con questa forte richiesta in mano e l'ansia di riuscire almeno a dirla.
I professori commentavano orari, erano anche loro un po' spaesati da questa sezione sperimentale che era al suo primo anno.
Eravamo tutti delle cavie.
Ad un certo punto, verso la fine della riunione di cui non ricordo nulla in particolare, si girano verso di me e verso il mio collega e ci dicono "avete qualcosa da dire?".
Io prendo la parola e dico "ci date troppi compiti" e mentre lo dico, prima ancora che nella loro faccia si accenda il sorriso di scherno, mi sento troppo piccolo per quel contesto e allora aggiungo "quello che noi potremmo dare in classe, l'attenzione che riusciremo a darvi mentre spiegate, è inevitabilmente legata a quanto riusciremo a ricaricarci a casa, a quanto tempo riusciremo a dedicare ai nostri sport ed alle nostre altre attività. Se ci date troppi compiti noi non riusicremo ad essere lucidi".
L'ho detto tutto d'un fiato, ricordo solo che tre professori capirono, cambiarono espressione e mi diedero ragione.
Disgraziatamente questo non cambiò l'usanza di darci uno sproposito di compiti a casa ma almeno ci sollevò in parte dal senso di colpa di non riuscire a terminarli.

Son passati 18 anni e in questi giorni, prendendo in mano una rivista di management (o roba simile) ho trovato un articolo dal titolo "Self Management, gestire bene la vostra vita, non solo il vostro business".
Mi sento rincuorato, ho sempre puntato molto sul fatto che la mia vita professionale fosse emanazione della mia sfera privata. Sono convinto che quello che posso dare in termini di idee, entusiasmo, iniziativa, operatività in area professionale dipenda fortemente da quanto tempo riesco a dedicare alla restante parte di me.
E ne faccio una questione quantitativa, oltre che qualitativa.
Non è sufficiente dire che mi prendo quindici, venti minuti al giorno solo per me.
No io devo volere ore per me, ore in cui dedicarmi a me stesso, ai miei hobby, ai miei famigliari.
Ci possono essere momenti intensi, in cui attignere a tutte le mie riserve ma io ho intuito 18 anni fa che se questi periodi non sono a termine allora la mia performance calerà, non sarò più centrato nelle mie attività professionali.

Certo facciamo corsi di gestione del tempo in cui ci insegnano a trovare questo tempo nell'arco della giornata. Questo è giusto ma, a mio avviso, non sufficiente.
Io non voglio raschiare tempo a destra e sinistar per ricavare tempo per me.
Io voglio raschiare tempo a destra e sinistra per rendere più efficiente la mia vita, per avere altro tempo.
Voglio però programmare quello che ho in funzione di tutto me stesso, dell amia famiglia, delle mie passioni, dei miei sport, del mio lavoro. Di volta in volta vedrò in che ordine.

martedì 28 settembre 2010

Un racconto della mia nonna - vero

Una nota veloce, privata. Per ricordare sempre. 
Il 18/10/1937 due fratelli, Biagio e Arturo escono assieme ad un amico da un cinema. Siamo a Bellaria - Igea Marina.
Decidono di prendere il mare per andare a pesca, per anticipare gli altri pescatori nel calare le reti. 
Salgono sul loro trabaccolo, la Maria B e prendono il mare. 
Il tempo non è dei migliori, c'è vento e ci sono anche onde fastidiose.
Ad un certo punto le vele si svuotano e afflosciano. È la rinomata calma prima della tempesta.
Subito dopo due venti opposti si scontrano con violenza, i tre marinai capiscono che non porterà nulla di buono. I due venti generano una tromba marina ingestibile per i tre. Un'altra inbarcazione non distante da loro assiste alla scena impotente.
Intanto dalla terra una signora scruta con il suo cannocchiale il mare verso Sud e vede una barca, senza riconoscerne le vele. Guarda poi a Nord e non vede nulla. Torna a guardare verso Sud ma non troverà più la barca. 
Nell'arco di un attimo è sparita, inghiottita dal mare.
Dopo pochi giorni il mare restituirà una testa avvolta in una vela, un cranio senza un molare. 
È il cranio di uno dei due fratelli, di Arturo, riconosciuto proprio da quel molare mancante. 
La signora che scrutava il mare era la madre di Arturo e di Biagio e la nonna di mia nonna. 
Per lungo tempo, dopo la disgrazia, ha continuato ad urlare verso il mare il nome dei due figli sperando di vederli tornare.
I tre ragazzi avevano 16, 27 e 33 anni. 
Biagio, il più grande, era il mio bisnonno. 
La mia nonna allora aveva 8 anni, la più grande di tre sorelle. 
Ricevette una somma vincolata da un'assicurazione, tale Previdentia. Al compimento dei 21 anni avrebbe dovuto ritirarla. 
Non lo fece, se ne dimenticò. 

Ringrazio mia nonna di avermi raccontato questa sua storia e di avermi dato il libro dove recuperare tutte le informazioni. 
Ogni famiglia ha diversi racconti e leggende che non devono essere dimenticate.
Un grazie a tutti coloro che fanno lo sforzo di conservarle.

Navigatori satellitari e condivisione delle idee.

C'è un motivo per cui non mi piacciono i navigatori satellitari: mi piace studiare prima le strade da fare, preferisco essere preparato e non guidato.
Certo, si può preparare ugualmente un viaggio ed utilizzare un navigatore satellitare.
Contrariamente a quanto forse si può immaginare il navigatore satellitare permette molta più liberta, ci consente di perderci lungo la strada e di ritrovarci.
Però a me non piace.
Di un viaggio io adoro la preparazione, la scelta della destinazione, verificare i km, scegliere su una cartina le tappe e le strade che le congiungono.
Fare scelte ragionate e sensate ed alte invece intuite.
Mi piace preparare roadbook per chi mi sta al fianco o chi è in moto con me, mi piace che anche gli altri siano informati e che condividano il percorso.
Voglio sapere cosa posso incontrare, dove posso fermarmi, cosa c'è da vedere e cosa è consigliato fare. Sono convinto che avere tante informazioni, se ordinate, dia possibilità di scegliere, scegliere prima della partenza ma anche scegliere lungo il viaggio. Sono ancora più convinto che condividere queste informazioni ci permetta un confronto sulle scelte e questo non può che esssre un valore aggiunto.
Adoro anche partire la mattina presto, quando è ancora buio e tutti dormono. La partenza è quasi sempre un momento intimo. La mattina presto c'è sempre silenzio, le voci sono sussurrate, i passi rimbombano. E poi ti lascia tempo, puoi gestire imprevisti e camiamenti.

Normalmente non utilizzo la metà delle informazioni che raccolgo e non seguo un bella parte del programma che mi sono fatto. Disattendo anche i tempi e, in alcuni casi, anche le fermate e le soste.
Questo perchè la preparazione del viaggio è sicuramente propedeutica allo stesso ma non solo, ne è già parte.
Mettermi la sera davanti al PC o con le varie guide e pensare a cosa fare e a dove farlo è già viaggio, è già divertimento.

Ecco se qualcuno si chiede qualcosa in più di me direi che questo mio modo di approcciare i viaggi rispecchia il mio carattere, il mio desiderio di essere preparato agli eventi, la mia necessità di autosufficienza rispetto a quello che accade. Preferisco persone che mi spiegano a persone che mi accompagnano.
e sono convinto che ogni informazione, quando condivisa, accresce il suo valore. Sono convinto che essere unico detentore di conoscenza non possa far altro che impoverirla, a lungo andare.
Sempre meglio buttarla nella mischia, condividerla e vedere se e come cambia, cresce, migliora.

domenica 26 settembre 2010

Parabole, pentimento e politica

Oggi riflettevo assieme ad un paio di amici sulla politica. Già, la stagione autunnale incupisce anche i nostri discorsi.
La nostra riflessione partiva dalla costatazione che in Italia, appena tenti di fare qualcosa di più grande vieni stoppato.
Senza entrare nei dettagli e nella correttezza delle scelta di grandezza constatavamo che è stato così per Profumo (per farvi capire da quale episodio di attualità siamo partiti), in qualche modo anche per Gardini (noi romagnoli portiamo il suo ricordo nel cuore...).
Ad un certo punto ho fatto una battuta seria, ovvero ho detto scherzando una cosa troppo amara per dirla senza un sorriso. Le mie parole sono state più o meno "Come faccio a sembrare grande se tu cresci, come posso governarti se non sono più grande di te".
Ma non è tanto su questo concetto che voglio arrivare, troppo banale per discuterne.
Volevo introdurvi ad un altro ragionamento, ad un'altra battuta amara.
Parlando di politca chissà come mai siamo finiti a parlare di fango e di reati.
Abbiamo fatto un'altra battuta amara, ahimè anche una battuta vecchia. La battuta è che in Italia essere indagati per un politico fa curriculum.
La redenzione, il ritornare puliti e vergini dopo aver magari tramutato in vistosa beneficenza la condanna è un merito.
Se non altro è visibilità, che in questo periodo storico è tutto.
Allora, sempre scherzando perchè eravamo tra amici e volevamo solo divertirci, abbiamo detto che è normale, siamo uno stato culturalmente cattolico e la parabola del figliol prodigo è quella che preferiamo.
Per quanto ci abbia fatto rabbia vedere l'altro figlio ligio e rispettoso messo da parte.
Bene oggi commentavamo il fatto che questa paraola è molto di moda in politica dove ognuno può sbagliare (non nel senso di commettere un errore ma nel senso di infrangere una legge) e ritornare mesto e riabilitato in società.
Credo che in questo ci sia la cattiva interpretazione della paraola da parte della nostra società.
La parabola del figliol prodigo voleva evidenziare il PENTIMENTO, non la riabilitazione ed il perdono. Certo, sono elementi della parabola ma secondari e comunque successivi al pentimento.
Forse questo è il passaggio che nel corso degli anni si è prima indebolito e poi perso, forse a noi adesso manca un po' di spirito di pentimento.

Ecco, in conclusione, il perdono è sicuramente importante, abbiamo deciso che sia un valore per la nostra società e lo condivido.
Però credo che conditio sine qua non del perdono sia il pentimento e questo non lo possiamo dimenticare o trascurare.

venerdì 24 settembre 2010

Internet e regole (seconda parte)

c'è un bello in questa spersonalizzazione della rete può far emergere un lato positivo delle persone.
Come detto frequento un forum con circa 220000 iscritti.

In un paio di occasioni da quando lo frequento (pochissimi mesi) gli iscritti hanno dato prova di grande solidarietà attivandosi e compiendo gesti che hanno sicuramente aiutato chi era in tali difficoltà.
In tantissime altre occasioni ci sono stati gesti di solidarietà ma molto meno evidenti, limitati ad un'espressione di tale solidarietà ma non accompagnati da alcun gesto. Perchè non richiesto.
In due occasioni, con delle famiglie veramente in difficoltà, la rete si è mossa in maniera attiva, producendo un risultato.
Mi sono interrogato sul perchè, sul perchè ci sia così tanto fermento per una persona di cui spesso non si conosce altro che non sia un nome fittizio.
Perchè in tante occasioni non si aiutano le persone che bussano alla nostra porta, mentre davanti alla richiesta di uno sconosciuto anonimo lontano km ci si attiva così in massa?
Forse proprio perchè è uno sconosciuto anonimo lontano mille km.
Forse la società ci ha talmente abituato ad essere feroci verso gli altri a temere ogni sorta di inganno che ora non riusciamo a fidarci del vicino che ci chiede aiuto (in realtà non ci fidiamo neppure del vicino che ci porge il suo di aiuto).
Già, forse abbiamo paura.
E forse in questo internet ci aiuta, possiamo tutelarci dietro ad un'altra identità ed essere generosi senza paura che qualcuno possa vedere la nostra generosità ed approfittarsene.
Beh, quando è così, evviva internet

mercoledì 22 settembre 2010

Internet e regole (prima parte)

Quasi quotidianamente mi confronto con l'egoismo delle persone, la società attuale ci ha fatto regredire e ha fatto emergere un ancestrale spirito di sopravvivenza che ci ha reso più competitivi e cattivi.
L'avvento di internet ci ha velocemente catapultato fuori da quel senso di sicurezza in cui eravamo caduti nel corso negli scorsi decenni, quel senso di equilibrio (fittizio) che un paio di generazioni si erano conquistate dopo le guerre mondiali del 1900. Ci è venuto meno il controllo sulla nostra realtà, internet ci ha tolto i confini, ci ha aperto al mondo.
L'accelerazione imposta da internet alle dinamiche sociali ci ha reso ferali.
Adesso siamo sommersi da informazioni, possiamo essere chi ci pare, possiamo essere noi stessi con un altro nome, possiamo essere quello che vorremmo o quello che non vorremmo nascosti dietro ad un nickname.
Internet ha creato nuovi canali di comunicazione, questo in cui scrivo è uno, e nuove immense e entusiasmanti potenzialità.
Ha creato anche nuove regole e nuovi tutori delle stesse. Se prima eravamo giunti ad essere padroni delle relazioni sociali e responsabili per come le gestivamo adesso ci sono amministratori, webmaster e moderatori che controllano che rispettiamo le nuove regole e che ci comportiamo bene.
E' giusto, ogni società ha bisogno di regole e fino a quando non sono assimilate ci vorrà qualcuno che ne assicuri il rispetto.
Però queste figure non ci possono togliere la responsabilità di quello che diciamo.
Frequento un forum di 20.000 utenti che condividono una passione.
Ho la sensazione che la presenza di questi ruoli, associata all'anonimato di una identità finta ecc, ecc porti le persone ad esprimere concetti "estremizzati" ed in modo estremo, convinti che al massimo qualcuno li "bannerà", li metterà in punizione ma che comunque non metterà in dubbio il loro essere.
In pratica ci si può comportare "male" perchè la "punizione" è fittizia, riguarda uno degli altri me, una delle mie altre dientità.
E questo, amio avviso, è un rischio.
E' un rischio perchè il vero valore aggiunto di internet è la libertà e se verrà limitata, come accade da qualche parte, il suo potneziale per noi verrà meno e resterà invece un altro strumento per chi già è in posizioni di controllo.

martedì 21 settembre 2010

Un po' di insoddisfazione e politica

La politica non mi ha mai appassionato più di tanto.
Ho scoperto cosa fosse, mi sono fatto un'idea su quale area/corrente mi rappresentasse meglio e poi è iniziato il periodo di disaffezione.
Questo perchè sono sempre rimasto deluso, forse da figlio degli anni 80 e della pubblicità sono rimasto deluso dalla mancanza di concretezza di quello che succedeva.
Interpetavo i messaggi e i programmi come spot pubblicitari ma rimanevo deluso dal prodotto.
Non mi sono mai sentito il destiantario finale del prodotto/servizio politico (un po' come con le banche, ma questa è un'altra storia).
Non ho mai avuto la percezione che qualcuno lavorasse per me, ho sempre visto il mio voto più vicino a quello per il concorso di miss che non quello di un'elezione politica.
La mia percezione è sempre stata quella di essere uno sponsor per il lavoro di qualcuno e non il cliente di questo qualcuno.
E se inizialmente sentivo lontani i problemi dello Stato perchè i politici erano politici troppo professionisti per la mia capacità di intendere di allora, oggi non sento i problemi dello Stato al centro della questione.
Non sento più la parte Pubblica dell'etimologia Res Pubblica.
Credo che questo sia stato possibile anche da una certa ferocia che contraddistingue la società. Mi rendo conto di essere in una società competitiva, volta al mors tua vita mea, molto agguerrita nel difendere i propri interessi individuali e del ristretto cerchio di chi ci è attorno. Siamo egoisti, lo siamo diventati per poter sopravvivere a tutte le paure cui siamo stati abituati.
Chissà, se ci avessero raccontatao favole più cupe da piccoli e mostrato una realtà più ottimista da ragazzi adesso saremmo diversi, ma la pedagogia non è stata applicata così. Abbiamo favole con principesse che vivonmo felici e contente e realtà dove il nostro vicino di casa è un serial killer, magari perchè colleziona libri gialli.
In tutto questo la "cosa pubblica" non poteva che risultare lontano dalle priorità ed il fatto che altri scegliessero i problemi da risolvere e li risolvessero al posto mio era quasi un sollievo.
Però adesso, ora che la società mi farebbe comodo, ora che penso a cosa lo Stato potrà fare per rendere più semplici e funzionali alcune mie quotidinità, inorridisco a vedere a come si sia pian piano impoverito il serviizo reso a fronte del mio voto e dello stipendio che contribuisco a pagare con le tasse.
E allora mi chiedo, come si può fare a far tornare l'interesse per la politica in un contesto sociale come il nostro? E mi rispondo con una domanda: ma chi è in politica (in politica, non necessariamente al Governo)che interesse potrebbe avere a far ritornare interesse ai suoi elettori? Perchè dovrebbe far ricadere il faro dell'attenzione su quello che fa? E quindi mi rispondo dicendo che se questa necessità di governo non parte da me e poi da tutti difficilmente la ritroveremo.
La stessa crisi che abbiamo o stiamo attraversando non è stata abbastanza forte da riportarci a dei livelli di interesse antichi, dove, per poter operare in tranquillità, i politici erano costretti ad artifici legislativi e verbali per non farci comprendere.

venerdì 17 settembre 2010

Io gioco in modo serio

Un breve post per raccontare un po' di me, direi che posso concedermelo.
Quando ero piccolo ero uno di quei bimbi che venivano definiti maturi, seri, educati.
Di quelli mai sguaiati e sempre composti, rispettosi.
Sono stato così da ragazzo, mi sono sempre divertito anteponendo sempre i miei valori e le cose in cui credevo.
Ho perso occasioni per divertimenti sfrenati, al limite ed oltre al buon senso, di quelli eccessivi, che piacciono che fanno impennare l'adrenalina.
Mi son sempre divertito con la testa, mi è sempre bastato riuscire ad essere impegnato in qualcosa per divertirmi. Mi è sempre bastato essere felice per dire di essere felice.
Non mi è mancato nulla, ho sempre avuto giornate splendide che si sono susseguite fra divertimento e gioia. Sono anche fortunato, non me ne vergogno. Però non ho mai passato i limiti, per usare un'espressione sintetica ma chiara. O almeno li ho passati (sì, in effetti li ho passati) con coscienza, ho fatto le mie cazzate con attenzione e se non ne ho pagato le conseguenze è perchè non ho mai lasciato alcun debito da pagare. Non mi son mai trovato in quella condizione.
Questo per dire cosa, per dire che mi piace andare in moto.
Mi piace salire in motocicletta e fare un giretto per prendere un caffè, mi piace fare un giro più lungo e fermarmi a pranzo, amo stare via in moto un paio di gironi, mi sono divertito a star via 15 giorni e mi rilassa ed entusiasma anche andarci al lavoro.
E finalmente ho capito perchè.
Perchè per andare in moto devo stare attento come in poche altre occasioni mi capita di doverci stare, perchè è un divertimento in cui si deve usare la testa. E' un gioco serio e giocare seriamente è il modo che piace a me, è il mio campo.
La testa è il mio organo di divertimento, non è l'adrenalina in pancia e non sono i brividi lungo la schiena.
Quelli non mi divertono, al massimo mi emozionano.
Usare la testa mi diverte, pensare che devo vestirmi in maniera seria, avere il mezzo in ordine, le gomme ok, che devo stare attento a mille cose, ascoltare la moto, i rumori, leggere la strada, cercare di prevedere cosa succede che tenere la testa in modalità alta, devo respirare ogni input che viene dall'ambiente. Questo mi vien naturale, è il mio modo di giocare, è il mio modo di divertirmi.

E tutto questo potrebbe comunque non bastare, mi allaccio il casco ed è possibile che non faccia ritorno a casa, nonostante io cerchi di ridurre questa possibilità al minimo.

E in fin dei conti, se ci pensate la cosa più seria che vi può venire in mente è un bambino che gioca, la sua concentrazione, la sua attenzione e serietà nel gioco è una cosa che l'adulto difficilmente riesce a replicare in qualunque campo. Fateci caso.

Numeri uno ma di cosa.

Il mondo è pieno di migliori al mondo.
Abbiamo Bolt che è il miglior velocista del mondo, Nadal che è il miglior tennista del mondo, Messi che è il miglior calciatore del mondo.
Sono i numeri uno della loro specialità e della loro epoca.
Ma non lo sono in senso assoluto.
Certo, le possibilità che vi sia al mondo un coetaneo di Messi che se avesse giocato a pallone sarebbe il più forte sono remote ma ci sono.
Forse quelle che ci sia qualcuno più veloce di Bolt o di Phelps sono maggiori, dato che son o sport meno praticati, direi.
Però i migliori lo sono in senso assoluto, sono i migliori, nella loro disciplina, fra quelli che ci hanno provato.

Se il calcio ha il doppio dei praticanti del golf ci sono il doppio di possibilità che non vi sia un essere umano migliore di Messi di quante ce ne siano di Tiger Woods.

Perchè tutto questo? L'altro giorno mi son soffermato a parlare con una persona che ha la passione per il gornalismo, che ha sognato prima e studiato poi il giornalismo.
Non credo sia particolarmente portata, al di là delle caratteristiche legate alla piacevolezza con cui racconta o scrive.
Però sono rimasto colpito da come sia difficile e chiuso il mondo del giornalismo e come questo mi pare in contraddizione coi nostri tempi, tempi in cui io posso mettermi al mio pc e condividere quello che penso col mondo o posso documentare con un cellulare un fatto di cronaca.
Certo, il tutto potrebbe avere lo scopo di selezionare e identificare i professionisti dai dilettanti. E qui non mi tornano i conti.
Se ripenso al giornalismo degli anni 50-60 in america e successivamente da noi, vedo un giornalismo fatto di grandi pensatori che si assumevano la responsabilità di riportare un fatto di cronaca o di commentare con trasparenza un fatto politico.
Con trasparenza e dignità. Ora fatico a vedere questa trasparenza, fatico a vedere l'impegno e l'idea, spesso colgo a malapena la fazione.
Ed è diverso sposare e difendere un'idea o difendere una fazione e me ne accorgo troppo bene.

E chissà in quanti setori questo accade, quanto abbiamo livllato verso il basso la preparazione che diamo ai nostri figli e quanto li abbiamo poi impedito di sperimentarsi con la realtà, chiudendo il nostro sapere in caste e ordini ad accesso limitato, per paura di doverci confrontare con qualcuno meno preparato di noi.
Li abbiamo resi ignoranti per paura che potessero un giorno superarci e adesso ci ritroviamo poche eccellenze, vecchie, consumate e senza eredità.

giovedì 9 settembre 2010

Mele e pere

Ricordo bene che quando ero piccolo ho sentito spesso dire di non sommare le pere con le mele.
A quel tempo mi sembrò una cosa estremamente ovvia, ma ero piccolo e le cose semplici non diventano complicate, rimangono semplici.
A distanza di tempo credo invece di non aver prestato sufficiente attenzione a quel monito.
Credo di averlo archiviato nelle verità assolute, quelle talmente vere da essere banali.
Credo che questo sia capitato ad un sacco di persone e credo che questo stia creando non troppi problemi.
La confrontabilità delle cose è uno di quegli aspetti sui quali molti giocano.
Giocano le pubblicità, giocano i politici.
Vengono confrontate cose non paragonabili solo per farci apprezzare quanto una sia migliore dell'altra. E noi abbiamo perso la lucidità per dire "ma non si sommano le pere con le mele" e se lo diciamo ci viene risposto di considerare la cosa da un'altra prospettiva. Bene, sul mio tavolo ho una pera ed una mela e per quanto cambi prospettiva rimangono chiaramente una pera ed una mela.
Succede di continuo, pensate alle discussioni in cui si confrontano industria e sindacati, ai momenti di scontro politico, alle pubblicità (per gli appassionati di moto, quante anti-GS sono state presentate negli ultimi anni, senza essere paragonabili come tipologia?).
Sembra sempre che la verità sia nei discorsi di tutti, sembra sempre che ci sia una prospettiva autorevole per tutti.
Io credo di aver imparato che la verità può avere ragioni diverse ma alla fine è una sola.
Credo che sia importante che facciamo lo sforzo di ricordarci di non sommare le pere con le mele altrimenti continueremo a pensare che in fondo ognuno ha un po' di verità. Invece ognuno ha un po' di ragione ma la verità è sempre una sola.

mercoledì 1 settembre 2010

Creatività e semplicità

Qualche tempo fa guardavo un telefilm ambientato in un ospedale e il medico senior redarguiva l'apprendista che aveva effettuato una diagnosi complessa, azzardata e sbagliata, dicendo "Se senti rumore di zoccoli pensa cavallo e non zebra".

Il senso era che dietro la semplicità spesso si nascondono le soluzioni migliori.
Quante volte ci capita di addentrarci in ipotesi e di perderci nelle stesse.
Certo c'è differenza fra semplicità e fantasia, creatività ma i concetti sono più vicini di quel che si crede, a mio avviso.
E' sbagliato pensare che la creatività, la genialità e la fantasia stiano solo nella complessità, anzi.
Molto spesso la semplicità e la "pulizia della logica" nascondono un potenziale maggiore.
Mi son fatto l'idea che sia un falso mito pensare che fantasia e creatività stiano in ambienti di disordine, confusione e input incontrollati.
I più grandi geni e creativi sono persone di metodo, di ordine e di dettaglio.

Creare in un contesto disordinato, confuso significa non avere la percezione di quel che si è fatto, vuol dire non avere in mano o in testa il potere di replicare quanto fatto poichè il caso, il disordine e la confusione ci impediscono di connettere la causa con l'effetto.

La nostra capacità di creare è accresciuta se abbiamo più chiarezza e maggiore possibiltià di sperimentare, non se abbiamo maggiore disordine da gestire.

Quindi questo è un elogio all'ordine e alla semplicità come strumento per la creatività, per la soluzione dei problemi.
Il genio potrà riuscire a lasciare il segno anche in un contesto disordinato e caotico ma capire il perchè delle creazioni passa attraverso un contesto ordinato e preciso.
Il potenziale lo si può accrescere con la conoscenza, entrando in contatto con contesti ricchi di stimoli e conoscendo diverse logiche e diversi approcci ai problemi ma il metodo ci permetterà di capire come nasce una nostra creazione, come nasce una nostra idea, come si sviluppa una soluzione ad un problema.
In fondo del più grande genio creativo della storia (Leonardo da Vinci) ci son rimasti centinaia di appunti ordinati e precisi e non scarotffie a caso.