Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

giovedì 5 marzo 2015

Germania VS Italia, una sfida poco nota del 1996

Allora, ormai questo blog giace abbandonato da lungo tempo. Gli interessi, la vita e il fatto che sono un pigro mi hanno portato a coltivarlo molto poco.
Però è accaduta una cosa importante ed ecco perchè lo riesumo per l'occasione.
Compiuti i 37 anni sono vergognosamente invecchiato dentro. Ecco, questo fatto non mi è passato inosservato.
Me ne son reso conto dai particolari: ho cominciato a sparecchiare la tavola mentre gli altri commensali ancora mangiano, come mia nonna; ricordo con nostalgia eventi risalenti ad anni prima, come faceva mio nonno con la Guerra. E siccome ho come grande rimpianto della mia vita di non essermi appuntato ogni singola parola di ogni singolo evento che mi ha raccontato, ho deciso di riportare qui un episodio della mia semplice vita. Un episodio di grandezza.

Correva l'anno 1996 e la mia classe delle superiori fu invitata a passare dieci giorni in Germania ospiti di una scuola superiore di Speyer, città gemellata con Ravenna.
Io ho sempre praticato sport, non sono mai stato competitivo in nulla, troppo scarso per emergere tecnicamente e troppo timido per emergere di agonismo puro.
Però il caso ha voluto che in quei dieci giorni il mio fisico si esprimesse su livelli mai raggiunti.
La mia settimana da vincente è stata quella.
Ci sono diversi episodi legati a sfide di tennis, di basket e di pallavolo ma l'aneddoto che voglio lasciare ai posteri è legato alla partita di calcetto.
Durante tutto il periodo sia noi che i nostri ospiti tedeschi sapevamo che saremmo finiti a giocare a calcio. Abbiamo fatto tante cose assieme, in gruppo o con la famiglia che ci ospitava ma tutti, nessuno escluso, sapevamo che prima o dopo la partita col pallone sarebbe arrivata.
E' arrivata uno degli ultimi giorni, diciamo che è arrivata il giorno prima della ripartenza, il pomeriggio prima della festa di saluto.
Forse non per caso, nessuno voleva portare l'onta della sconfitta per giorni. Partita e poi arrivederci in Italia.
Ricordo chiaramente ogni istante di quella partita. Noi avevamo in squadra due fenomeni e altri giocatori di buon livello. Io ero quello che usa il sinistro. Cioè, non ero uno dei forti ma essere mancino mi ha sempre assicurato il posto in squadra. Il mio compito era presidiare la fascia e non fare casini, meno mi si notava e meglio era. Il mio ruolo perfetto.
Ma non quel giorno.
Scendiamo in campo e ci rendiamo conto di essere più bravi. Però loro sono la Germania. In quel momento non sono un gruppo di ragazzi di una squadra, sono la nazionale tedesca.
Pronti via e subito uno a zero per noi. In porta abbiamo un portiere che è una sentenza ma oggi non siamo l'Italia che soffre e si arrocca, oggi siamo calcio champagne.
Non ricordo come ma loro fanno uno a uno. Un colpo di sfiga. Ecco, in quel momento succede qualcosa. Lo spirito di Roberto Carlos si impossessa di me (vorrei dire di Andy Brehme ma mi pare fuoricontesto), divento signore indiscusso di quella fascia. Sono incontenibile. Di colpo divento quello cui passare la palla e all'improvviso: due a uno, segno io.
Dal due a uno entro in trance agonistica, mi riesce di tutto. Salto l'uomo (ok, sulla mia fascia non c'era Gerd Muller ma il più scarso del gruppo) passo, chiudo, rubo palloni, sono ovunque.
Mi sento il classico giocatore Box to box, come direbbero gli inventori del calcio.
Pecchiamo di presunzione, giochiamo il calcetto totale e la Germania, cinica come sempre, ci punisce. Due a due. Fine primo tempo e inversione di campo.
Il secondo tempo è un assedio, da qualche parte nel mio cervello si sblocca pure l'area dedicata all'agonismo. Chi mi conosce stenta a riconoscermi, sono una furia. Ma loro tengono, han capito di essere meno forti, qualunque risultato che non preveda la sconfitta per loro è un successo. E noi continuiamo l'assedio. Ad un certo punto mi propongo per un triangolo, ricevo la palla di ritorno sulla fascia, mentre corro sembro Forrest Gump. Io sono sempre stato piuttosto lento ma non quel giorno. Quel giorno corro, corro verso la gloria eterna. O vero l'inutilità, se uno ha una cartuccia buona può spendersela meglio, in effetti. Prendo velocità come mai in vita mia, salto l'uomo e faccio partire il mio sinistro. Non era necessario, potevo avanzare ancora, ormai nessuno si frapponeva fra me e il portiere. Ma quando sei in “zona rossa” fai solo quello che il tuo corpo ti dice, non quello che la testa ritiene giusto. Parte un bolide che viaggia a dieci centimetri da terra. E' insidioso, è veloce, è angolato. E' imparabile.
Io continuo a correre, tutti noi capiamo l'importanza di quel goal e io ho un pensiero che mi attraversa la testa. Il pensiero ha un nome e cognome: Marco Tardelli. Esulto urlando e agitando i pugni proprio come Tardelli nella finale dell'ottantadue.
E' il colpo decisivo, i tedeschi si disuniscono, si rendono conto che stanno perdendo, in casa e che nessuno potrà cambiare questo finale. C'è gloria anche per gli altri, finisce quattro a due e quasi ci dispiace che non ne segnino un terzo loro per emulare la mitica semifinale.

Ecco, adesso nessuno dimenticherà mai.
Grazie.

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