Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

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domenica 24 aprile 2011

Lucianone Moggi, fallimenti e prima Repubblica

Alcune riflessioni sui fallimenti, ormai ho finito la lettura di HBR e smetterò anche con questo tema.
Altre volte ho parlato di errori, dell'importanza degli errori, dell'opportunità che sbagliare ci offre.
Oggi però aggiungo un altro elemento. La riflessione mi è venuta ieri sera mentre ero in fila che aspettavo le pizze d'asporto. Due signori distinti, sui sessanta abbondanti, commentavano la Juve e Moggi.
Da juventini delusi commentavano il declino di questi anni e ricordavano Moggi.
Non voglio entrare in polemica con gli amici juventini, i pensieri che seguono hanno un altro obiettivo.
Allora, partiamo da un assunto: Moggi è uno di quelli che di calcio ci capiva sul serio, probabilmente ci capisce tutt'ora. Chi era scettico l'ha visto quando i suoi uomini si sono allontanati da lui e hanno fatto fiasco: Lippi all'Inter, per citare un esempio che ancora mi fa sanguinare.
Ma torniamo a Moggi, vediamo se riesco ad arrivare in fondo al mio pensiero per capire se ha senso. Allora, Moggi costruisce una società seria, circondato da altre menti calcisticamente preparate e da qui allestisce una grande squadra. La Juve cresce e vince, più in Italia che all'estero in verità, ma vince tanto. Le altre non stanno a guardare e mentre i giocatori si riempiono la pancia le altre squadre fanno di tutto per colmare il gap. Arriva il momento in cui le altre diventano più forti e la squadra allestita e diventata squadrone, perde terreno.
Ecco, qui subentra il meccanismo per il quale un vincente non abituato a perdere cerca con ogni mezzo di continuare a vincere. Anche andando oltre le regole del gioco cui sta giocando. È tale l'incapacità di perdere che non esistono limiti.
Moggi ha fatto di tutto per non perdere. Ok, ci sono processi che magari smentiranno il tutto ma ad oggi è ragionevole ritenere che per continuare a vincere non tutte le azioni in capo alla dirigenza bianconera dell'epoca siano state in linea con i principi di sportività che il gioco prevede. Più elegante di così non mi viene.
Comunque, se pensate anche alla politica, non a quella attuale, è facile vedere come un vincente che non è abituato a perdere fa di tutto per non smettere di vincere.
Manipulite ha fatto pulizia (qualche secondo per sorridere amaramente di questa affermazione) di una classe politica ingorda e non abituata a fallire, pronta a disattendere o cambiare le regole per non perdere. Ovviamente questo riguarda esclusivamente la prima Repubblica.
Ecco, in ognuno degli esempi riportati c'è dell'altro, ricerca di potere, delirio di onnipotenza, brama di denaro, ma anche la disabitudine al fallimento, alla sconfitta rientra fra i fattori.
Ecco perché spesso parlo degli errori, dell'importanza di sbagliare, dell'opportunità di crescere con i nostri errori e delle chance di ripartire dopo una caduta.
Ed ecco perché sono contento di aver giocato a tennis da ragazzino: non sono diventato un fenomeno, non sono scolpito nel fisico ma ho imparato a perdere, a farlo da solo. Ho imparato a perdere anche senza migliorare, essendone il solo responsabile e confrontandomi con il mio fallimento. Ora non sarò mai un gran manager o cosa ma non ho più paura dei miei sbagli e non sono disposto a cambiare le regole per non farne.

Ovviamente se il futuro smentirà le ipotesi attuali circa le vicende calciopoli mi scuserò con Moggi e chi altro. Per ora funge da esempio.

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