Cosekeso?

Ciao, questo è il mio blog, il blog nel quale ogni tanto svuoto la mia testa dai vari elementi che la riempiono.
Non c'è quasi nulla di originale, i miei pensieri sono rivisitazioni o rielaborazioni di quello che l'ambiente mi insegna e propone.

Se leggerai qualcosa "buona lettura", se non leggerai nulla "buona giornata"

ATTENZIONE: contiene opinioni altamente personali e variabili

mercoledì 16 gennaio 2013

Gestire l'ambiente e non i figli...funziona?

Lavorando all'interno di un supermercato ho l'occasione di vedere diverse tipologie di mamme e babbi alle prese con lo stesso contesto.
Fra l'altro noi abbiamo anche dei mini-carrelli da far usare proprio ai più piccoli. L'ambiente è lo stesso per tutti, scaffali, altri avventori, prodotti che si possono rompere, cose che si possono rovesciare e comunque scaffali dietro i quali i bambini possono nascondersi.
Le preoccupazioni dei genitori sono mediamente le stesse: tenere sempre in vista i piccoli, fare attenzione che non si facciano male, fare attenzione che non distruggano nulla.
Nonostante questa coincidenza di fattori i comportamenti sono diversissimi, alcuni vincenti, altri perdenti. Ci sono genitori per cui la spesa è fonte di stress, altri che per non stressarsi mettono il piccolo sul carrello grande perchè “non vada in giro”, rendendo il momento della spesa una rottura di scatole, alcuni scendono a compromessi tipo “fai il bravo e puoi mangiare il grissino”, alcuni vanno di corsa col bimbo in braccio, alcuni hanno più di un figlio e urlano alternativamente all'uno o all'altro di badare il fratello/sorella, insomma mille risposte alla stessa gestione.
Fra i diversi clienti con figli c'è un babbo che viene sempre col suo piccolo che è spettacolare e che mi ha fatto capire qual è la chiave di lettura giusta.
Il piccolo ha pochi anni, stimo fra i due e mezzo e i tre. Ogni tanto è in braccio al babbo, ogni tanto gira col carrello, ogni tanto è dentro il carrello. Non c'è una modalità fissa. Ogni tanto il piccolo gli si addormenta in braccio, tenerissimo.
Il piccolo è un gioiello, sempre pacato, sempre sorridente, gira per il negozio senza mai allontanarsi dal genitore, lo coinvolge con domande e richieste. Interagiscono. I due vengono spesso verso sera, quando c'è meno confusione. Mai una storia, anche quando è stanco, sempre a modo.
Però non è uno stordito, mi spiego: quando il bimbo è sveglio è curioso, chiede, interagisce, risponde, aiuta.
Guardando questi due uomini, il piccolo e il grande, ho avuto l'illuminazione.
Il babbo ha capito che non ha senso gestire il figlio, deve gestire l'ambiente. Il piccolo è probabilmente buono e tranquillo di suo però il padre si muove in negozio cercando di non forzare il piccolo ma di “forzare” l'ambiente. Non prende sempre il braccio il piccolo o non lo mette sempre nel carrello, ma sceglie in base allo stato del figlio. Non gestisce il piccolo obbligandolo in un modo o in un altro, sceglie le opzioni dell'ambiente in base al momento. In alcuni reparti passa spedito, in altri sa di doversi fermare perchè al piccolo piace fermarsi, come al banco dei formaggi e della gastronomia. In alcuni reparti lo coinvolge direttamente. Alla cassa il piccolo è spesso protagonista, perchè si vede nel video della sorveglianza, perchè il padre gli parla, perchè fa domande.
Io non so se questo babbo adotti una tattica o semplicemente abbia così voglia di vivere quel momento con il suo cucciolo che si approccia naturalmente nel modo migliore. Però funziona. E non è neppure faticoso, non ci sono inseguimenti in negozio, urla, stress, corse, c'è il giusto tempo. Ed è quello del piccolino.
Partendo da lui ed osservando gli altri genitori mi son reso conto che gestire l'ambiente è l'elemento che caratterizza tutti gli approcci vincenti, quelli che non prevedono urla, non prevedono stress, non prevedono corse. Chi invece parte pensando a gestire il figlio spesso si ritrova ad inseguire il piccolo, magari dimenticandosi quello che deve prendere e vive un'esperienza stressanti in quei minuti che passa nel supermercato.
Penso che possa funzionare ovunque, penso che rispettare l'individualità dei nostri figli gestendo l'ambiente e non forzando loro possa essere un buon approccio. Attenzione, gestire l'ambiente non vuol dire eliminare gli ostacoli dell'ambiente, certe cose non si possono eliminare. Però un conto è assicurarsi che vostro figlio usi bene l'altalena, controllando che sia integra e sperare non si faccia male, un conto è impedirgli di usarla o urlargli “STAI ATTENTO CHE TI FAI MALE” mentre la usa.

sabato 12 gennaio 2013

Cosa vuol dire avere 35 anni.

Cosa vuol dire avere 35 anni.
Beh, intanto essere entrato nella seconda metà dei 30, la prima seconda metà non figa. La seconda metà dei dieci e la seconda metà dei venti mi sembravano molto più interessanti.
Anzitutto avere 35 anni significa ricordarsi della prima serata in TV che iniziava alle 20,30...poi alle 20,40....poi alle 20,45.... poi alle 21,00 e adesso in un orario indefinito fra le 21,00 e le 21,20.
Tutto iniziò con Striscia la Notizia, mi pare.
Avere 35 anni significa fare comunque sempre i conti in lire, diciamo che vuol dire essere fra i più giovani che fanno i conti in lire.
Significa che se foste i vostri genitori sareste adulti mentre noi saremo sempre ragazzini. Non importa in quanti fusi orari hai vissuto, quanti lavori hai fatto, quanti figli hai, quante difficoltà hai passato, quanti traguardi hai raggiunto, quante risse hai sedato, quanta droga hai visto, quante volte hai rischiato la vita (sul serio, non facendo l'idiota in macchina), quanti mutui hai acceso. Sarai sempre un ragazzo della generazione che “son sempre ragazzi”.
Avere 35 anni significa che un breve periodo della tua vita sei andato in motorino senza casco ed era anche legale. Significa aver fatto un esame di maturità che non tornerà più, aver fatto l'università con esami e tesi e non dover parlare di minilaurea o laurea magistrale. Significa aver scelto se fare o no il servizio militare e poi non averlo dovuto più fare.
Avere 35 anni significa probabilmente che i tuoi figli andranno a scuola da educatori che figli non ne hanno, perchè non ne vogliono (e questa è una scelta) o perchè non si sentono sicuri e questo è un problema, non solo per loro.
Avere 35 anni significa stupirti del fatto che i cartoni animati di oggi hanno un fine didattico mentre Holly e Benji erano solo un cartone animato e Pippi Calzelunghe quanto di meno educativo possa essere messo in onda.
Avere 35 anni significa che hai ancora l'età e il fisico per fare una cazzata ma poi verrai guardato come un idiota....e ci sta.
Significa che niente sarà mai come i Goonies, Labyrinth, Explorer, La Storia Fantastica o La Sotria Infinita. Significa che, anche se fai il figo intellettuale impegnato, la tua vita è piena di riferimenti a Rocky, Top Gun o Rambo, non ci son cazzi.
Avere 35 anni significa che fra sei mesi saran 16 anni che mi son diplomato e che quindi son più vicine ad iniziare la scuola superiore Gaia e Bianca di quanto io sia vicino alla fine.
Avere 35 anni significa che gli unici che si rendono conto che non sei più giovane sono gli assicuratori, che cominciano a parlarti di assicurazione vita e di “mettere qualcosa da parte per dopo”.
Avere 35 anni significa che abbiamo visto morire le pensioni, che abbiamo cambiato obiettivo: speriamo ci vadano i nostri genitori (e suoceri) e sappiamo che noi non ci andremo mai.
Avere 35 anni significa aver battuto Cristo....beh, anche i 34.
Avere 35 anni non so come sia, li compio oggi.
Tanti auguri a me.

lunedì 10 dicembre 2012

Un post per il futuro. Gaia e Bianca, non abbiate paura.

Io non credo in molto cose, fato, Dio, caso, per me sono tutte soggezioni.
Io credo però che ci siano periodi della vita in cui si è più sensibili a determinati temi e allora si colgono stimoli e si pensa di ricevere segnali.
A me è capitato in questi giorni e ne approfitto per fare un post. E' uno di quei post rivolto alle mie bimbe, di quelli che vorrei leggessero quando saranno più grandi. Con questo blog ho la possibilità di prendere appunti per il futuro, posso fermare concetti e consigli che non voglio scordarmi. Non perchè siano particolarmente validi o intelligenti.
 In questi ultimi giorni sono stao eccitato (a livello di recettori e sistema nervsono) da stimoli che parlano di paura.
Primo episodio.
La scorsa settimana è terminato X-Factor e ha vinto Chiara. Ha vinto meritatamente, secondo il mio modesto parere. In uno dei momenti di “confessionale” ha detto una cosa bellissima. Parlava dell'aver vinto le sue paure e a un certo punto ha detto “Perchè avevo paura di non farcela, me lo dicevano, attenta che non è facile. Invece ho capito che sono loro ad aver paura e tentano di trasmetterla a te”.
Ecco piccole mie, la prima cosa che vorrei voi ricordaste sempre è questa: non lasciate che le paure degli altri siano le vostre. Non fatevi condizionare dai “non ce la puoi fare” che vi diranno gli altri, anche se si chiamano mamma e babbo.
Il secondo stimolo che mi ha colpito è questo video.


Ecco, quello che voglio trasmettervi con questo video è: non lasciate che le vostre paure vi accechino. Non lasciate che una piccola paura vi impedisca di godervi una grande vittoria. Correte piccole mie, correte sempre. Se ci saranno ostacoli che vi feremranno ve ne accorgerete, non anticipateli, correte fino a quando non arriveranno sul serio. Fino ad allora correte.


mercoledì 28 novembre 2012

Non vedo l'ora che sia....

Quando ti nasce un figlio è un po' come la caduta dell'impero romano d'occidente del 476 che segna l'inizio dell'età medioevale e la fine di quella antica (boato, non ho guardato wikipedia): per quanto puoi aver rimandato prima, quell'evento segna la fine del tuo essere giovine e ti proietta nell'essere adulto.
Il segnale più forte di questo trapasso lo danno i genitori, quelli per i quali prima eri il centro del mondo e che adesso ti ignorano completamente.
Bene, ero solo sul divano a gestire questo trapasso (ok mi ci vuole del tempo, le mie bimbe ormai ci sono da mesi e mesi), pensavo a come gestirlo. Ho subito ritenuto che dovessi darmi degli obiettivi, dei progetti miei. Insomma, dovevo continuare a difendere Nicolò all'interno della mia vita.
Non fraintendetemi, la mia più grande pulsione sarebbe di annullarmi completamente e dedicare la mia esistenza alle mie figlie, però so che non gli gioverebbe.
Allora, forte di questa conquista comincio a pensare ai miei progetti.
Mi dico subito “cerca di essere concreto e datti delle scadenze”. Comincio a sentirmi figo, in un momento di delirio da cagnina arrivo pure a pensare “cazzo questa volta faccio il botto, meglio rispolverare l'inglese perchè nel giro di due anni mi ritroverò a parlare di come ho deciso di dare nuovo impulso alla mia vita in giro per l'Europa. Anzi in giro per il mondo.”.
Gongolo e comincio a riflettere.
Rispolvero l'antico sogno di fare il Coast to Coast negli Stati Uniti per i miei 40 anni, meglio iniziare da qualcosa di ludico, di facile, di fattibile.
Comincio a sognare di finire il mio libro, di realizzare video, di sistemare il mio gioco da tavola, di creare cose e sono gasatissimo.
Bianca mi osserva come fossi scemo e Gaia è distratta da Nina e Nello (un libro).
Da fuori sembro un'otaria spiaggiata sul divano ma dentro, dentro sono un fermento di idee. Sgorgano programmi, traguardi, piani, progetti, chissà se mi basta il tempo!
Prendo pure in mano l'iPad per inserire tutto in un calendario/Gantt in modo da non scordare nulla.
Sono un fiume in piena, non mi basterà una vita per fare tutto ma ci riuscirò, basta saper dosare Magnesio, Ginseng, Vitamina B e Omega 3/6.
Mentre sono all'apice dell'autocompiacimento, mentre sono pronto ad essere invaso da tutta questa progettualità, mentre recettivamente sono ad un passo dall'essere iperstimolato dal futuro, Gaia chiude il suo libro, scende dalla sua sediolina Ikea e viene verso di me.
Mi dice “leggiamo insieme, prendimi in braccio” e alza le braccia come fa quando la devo sollevare. Nel momento stesso in cui la prendo in braccio e la guardo negli occhi vedo il presente.
E capisco. Capisco che il mio delirio da ex-figlio è giusto, è corretto ma che non devo aspettare domani per qualcosa, capisco che non ha senso dire “non vedo l'ora che sia Marzo per poter cominciare ad andare in bicicletta al lavoro (uno dei miei progetti che rientrava nella sottocategoria “attività fisica” della categoria principale “stato di salute”)”. Capisco che devo pensare a fare le cose adesso.
Gaia si siede sulle mie ginocchia, apre il libro e poi lo richiude. Mi guarda e mi dice “anche Bibi”.
Prendo Bianca e me le metto sulle gambe, a fianco di sua sorella. Gaia riapre il libro e dice “Non vedo l'ora che sia adesso. Dai leggi”.
Non vedo l'ora che sia adesso, ecco quello che mi serviva per capire.

Questo è un post che avevo in mente di pubblicare la prossima settimana. Ma oggi ha più senso.

lunedì 26 novembre 2012

Gaia e la paura delle streghe

Seduta sul divano, il corpo si contrae e si paralizza, la mandibola contratta che trema, gli occhi lucidi ma che non piangono e la voce singhiozzante “ho paura delle streghe”.
Sono sul divano con lei quando Gaia mi dice così. E' piccolissima, terrorizzata, non piange nessuna lacrima perchè ha troppa paura.
In quel momento ho desiderato apparisse una strega per poterla uccidere con le mie mani.
Mia figlia terrorizzata di una cosa che non esiste e la mia impotenza di fronte a questa situazione sono la situazione più brutta che mi sia capito di vivere in questa mia vita fortunata.
Mi sono ricordato di quando io ero piccolo e avevo paura. Mi sono ricordato di quelle paure incontrollate, quelle che ci fanno dormire assottigliati nel letto, quelle che ci fanno trattenere il respiro e che ti fanno controllare tutte le ombre e le ho viste su Gaia. Mi sono sentito inutile e l'ho abbracciata.
Abbiamo provato a dirle che le streghe non esistono ma lei trovava conforto solo per il fatto che la tenessimo abbracciata a noi.
Lei la strega l'ha vista in un cartone animato. Era una strega buffa che faceva una bella fine ma a lei è bastata per aver paura. Era qualche notte che non dormiva serena e finalmente ci ha detto il perchè.
Abbiamo dovuto accettare che lei, in questo momento, non è disposta a credere che le streghe non esistano. Le ha viste.
Però è disposta a credere che possiamo tenerle lontane. Abbiamo fatto il giro della casa per farle vedere che non ci sono streghe ma avevo paura che rimanesse la paura della notte.
Allora ho detto a Giulia di prendere lo spray balsamico che in genere usiamo nelle stanze da letto e abbiamo spiegato a Gaia che la notte noi lo spruzziamo perché l'odore spaventa le streghe. Si è calmata, abbiamo spruzzato spray ovunque.
Poi ci siamo rimessi sul divano, più sereni, era passata la paura, adesso aveva bisogno di certezze.
Si è sincerata, dolcissima, del fatto che gli altri membri della famiglia non avessero paura. Ci ha chiesto se Bibi ha paura e se i nonni (nominati uno a uno) avessero paura. Voleva sapere se anche altri stavano male.
Poi mi ha chiesto di telefonare a tutte le streghe per avvisarle che noi non avevamo paura e che in casa avevamo lo spray. L'abbiamo fato una decina di volte, le ultime volte abbiamo detto alle streghe che anche Gaia non ha paura e che loro dovevano stare lontano da noi.
Spray antistreghe e forse anche anti mostri.
Non so se funziona, non credo di aver fatto bene, forse avrei dovuto insistere sul fatto che le streghe non esistono. Però Gaia ha due anni, il mio obiettivo è che sia serena, ieri sera non era disposta a credere che non esistessero le streghe, non poteva capire quello che serviva. Per qualche giorno so già che dovremo dare la caccia alle streghe e poi passerà e allora potrò dirle di stare serena, che le streghe non esistono. Per ora basta così, basta che lei dorma, non manca molto a trasformare tutto questo in un gioco e allora il peggio sarà passato.

Però vederla così è un massacro, non vedere subito la soluzione a quello che rende così impaurita tua figlia è una cosa che non dovrebbe essere provata da nessuno.

lunedì 22 ottobre 2012

Recensione di un libro. Perchè no. Sulla pelle viva, Tina Merlin

Sulla pelle viva. Come si costruisce una catastrofe. Il caso del Vajont, Milano, La Pietra, 1983.

In genere non scrivo recensioni di libri, o almeno lo faccio nell'altro blog e parlo di libri sulle moto.
Su questo però due parole le voglio spendere.
Se, come nel mio caso, avete visto lo spettacolo di Paolini e il film di Martinelli le prime 150pagine di questo libro non aggiungeranno nulla. L'autrice è stata l'unica voce di tutta questa vicenda e chiunque ne parli si basa sempre sui suoi articoli, sui suoi lavori.
Quindi nulla di nuovo, il racconto è quello tristemente noto.
Non ha la capacità narrativa dello spettacolo di Paolini (spettacolo di un equilibrio unico, davvero ben fatto) o la forza delle immagini del film (altro consiglio di visione) ha la freddezza e la banalità della verità. Non ha artifici artistici, una giornalista racconta una verità che in quanto tale non ha bisogno di nulla, già di per sè è pure troppo.
La cosa che manca, nel film e nello spettacolo di Paolini è il dopo. Già perchè c'è anche un dopo. Oltre a tutto quello che è accaduto, l'Olocausto di cui parla la Merlin, c'è anche quello che è successo dopo.
Ci sono le difficoltà, le umiliazioni, le sofferenze, le pres ein giro. L'ultima parte del libro parla proprio di questo. L'evento è così devastante che spesso ci si ferma lì, ci si ferma a Erto e Casso evacuate a Longarone spazzata via. Poi ci si ritrova a elogiare la ricostruzione di Longarone.
Roma non è stat acostruit ain un giorno eneppure questo tratto della valle del Piave. Ci sono altre storie, altre sofferenze, altre umiliazioni, altre vergogne, tutte coperte perchè il peggio era già successo. Il peggio l'avevamo già visto.
Io vi consiglio il libro di Tina Merlin perchè fa meglio capire quanto è stato immenso il danno, il disagio e la distruzione che questi Italiani hanno dovuto subire. Vi consiglio il libro per quelle poche pagine che raccontano il dopo, raccontano di sussidi, di gente che si fa ospitare, che diventa ospite sgradito, che diventa criminale in casa propria, che viene raggirata, la cui pazienza e inegnuità viene abusata. Non c'è solo lo spettacolo della rinascita di Longarone, ci sono anni e anni di umiliazioni aggiuntive, che rimangono spesso coperte del boato di una catastrofe immensa e assurda.
Tutto qua, se avete tempo leggete il libro. Bastano poche ore.

martedì 16 ottobre 2012

Sfide del 15/10/2012

Ieri sera c'è stato in televisione SFIDE incentrato su Marco SIC Simoncelli. Mi è piaciuto, Zanardi è bravo anche a gestire un programma come questo e gli dona un valore in più.
Alcune cose mi hanno colpito, alcune frasi.
Il dottor Costa che dice, commentando la guida aggressiva del Sic, “correva in moto come la gente si aspetta che corra un pilota di moto”; Valentino Rossi commosso che ripete solo per convincere sé stesso che non poteva evitarlo; il suo capotecnico che ricorda gli scherzi; Pasini che ce l'ha negli occhi. Fra tutti i piloti e amici credo che Pasini sia quello che se lo porta più negli occhi, guardarlo mentre ne parla accende emozioni.
Il padre di Simoncelli, invece, ha una forza che non capisco da dove venga. E' un uomo di valori, si capisce. Si capisce dalle scelte che fa, da come la gente descrive il rapporto fra lui e il figlio. Un uomo da prendere come esempio. Un uomo che, dopo averlo protetto e cresciuto per anni, è rimasto folgorato dalla grandezza del figlio. Ha visto nella tragedia quanto anche il resto del mondo avesse capito suo figlio. Non per il talento sportivo, ma per l'immagine positiva che trasmetteva, di passione, di genuinità, di sincerità. Mi ha colpito la sua forza quando dice che Marco faceva quello che gli piaceva, che era felice. Credo un padre non possa chiedere altro: fare sacrifici per vedere il figlio felice.
Ad un certo punto dice “era felice, faceva quello che gli piaceva. Tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto, anche se sapessi già come va' a finire”. Questa frase è di una forza incredibile e bisogna essere genitori grandissimi per poterla pronunciare. Complimenti a lui, come si fa a non essere egoisti a non dire “se potessi farei diverso” come si fa a non voler togliere un po' di felicità a quel figlio solo per poterlo avere ancora vivo? Con che forza si sceglie la felicità del figlio anche se ce lo porta via? Come si fa a non dire “tornassi indietro lo farei studiare quel testone, me lo terrei con me, ci divertiremmo in moto assieme ma lo terrei con me”. Io credo che bisogna amare tantissimo i propri figli per poter dire una cosa del genere, per poter accettare di vivere tutta una vita con un vuoto che non verrà mai colmato in cambio di attimi di felicità.
Niente, ancora una volta sono rimasto colpito (stupidamente) dalla forza che vuol dire essere genitori. Credo che un padre ed una madre siano gli animali più forti al mondo quando trovano la chiave per far esplodere l'amore per i figli, quando non lo soffocano ma lo lasciano sfogare.
Diobò SIC.

mercoledì 10 ottobre 2012

Varie ed eventuali e gelosia fra fratelli e sorelle....

Forse ho già fatto una roba del genere, mi ripeterò.
Alcuni falsi miti dell'essere genitore.
Prima cosa: padri vi svelo un segreto per assicurarvi l'amore incondizionato di vostra moglie per tutta la vita. Se, come è capitato a me, non avete la possibilità di allattare e in tanti faranno sentire vostra moglie meno madre per questo fatto (state tranquilli, ce ne sono tantissimi) voi potete dire tranquillamente che le mie figlie sono cresciute benissimo senza latte materno e che Gaia durante il primo inverno non si è presa l'influenza, nonostante non avesse latte materno e andasse all'asilo. Poi potete dire, guardandola teneramente: “Mi sento egoista ma un po' sono contento, così posso occuparmi anche io di lei/lui e darle/gli il latte di notte”. Con questa siete a posto per gli anni a venire. Poi vostra moglie forse non ve lo farà mai fare, si sveglierà sempre lei ma voi le avrete detto la mitica frase.
Io adesso ho due figlie: in cinque (numero esatto) mi hanno detto “chissà come sarà felice Gaia (la maggiore) con una sorellina”. Ho perso il conto di quelli che mi hanno detto: “ah, adesso dovete fare attenzione che non diventi gelosa”. Ora, se voi vi comportate con vostra figlia come se dovesse diventare gelosa state pur certi che diventerà gelosa. Siate furbi. Lasciate che le vostre figlie siano complici, lasciate che ci siano giochi loro e non giochi di una da prestare all'altra. Gaia può giocare coi giochi da neonata, che sarebbero più adatti a Bianca. Li usa trenta secondi e poi si annoia. Ma sono lì, nessuno le dice “sono di tua sorella”. Tre giorni fa voleva mettersi le scarpine di Bianca, non le ho detto che sono piccole, lei le ha provate, non ci stava, ha voluto le sue. Non date per scontate che siano gelose, conosco un sacco di figli unici che avrebbero voluto un fratello o una sorella ma pochi con fratello o sorella che mi dicono “ahhh, fossi stato figlio unico”. O almeno pochi che lo dicono seriamente. Un fratello o una sorella sono una figata. Partite da questo assioma per costruire il vostro atteggiamento.
Poi, anche Gaia quando la sorella dorme la sera vuole più attenzioni e vuole giocare ma non vuole meno sorella, vuole più genitori...chiara la differenza? Non è qualcosa che abbiamo tolto e per la quale dobbiamo incolpare la sorella, è qualcosa che possiamo dare in più e per la quale possiamo prenderci l'impegno. E' una questione di come si vedono le cose.
Ultima poi per oggi basta, anche se ce ne sarebbe.
Per questa ringrazio pubblicamente Lorenzo che mi ha consigliato un libro dove l'ho trovata scritta la prima volta. Diffidate da chi vi dice “se il figlio piange non prenderlo in braccio, gli date il vizio”.
Posso dire....ma che vizio, razza di disagiato sociale!!!!!! Tenere in braccio un figlio è un vizio?!?!?!? Mi spieghi che cazzo lo metto al mondo a fare se non posso ostentare affetto quando piange e ha bisogno!?!?!?!??!?! Poi bisogna capire quando ha bisogno oppure no, in alcuni casi piangono e rompergli i coglioni è peggio. Però vi dico, tutte le volte che Gaia piangeva ed era disperata, per qualsiasi motivo, io l'ho presa in braccio e l'ho stretta forte a me e le ho detto che il suo babbo l'amava alla follia. Come risultato adesso Gaia non ha mai bisogno di un abbraccio, viene da me quando vuole giocare e sa' che quando si fa male può trovare un abbraccio terapeutico, che quando ha paura mi trova pronta a stringerla. Non ha il vizio di starmi in braccio e aggiungo purtroppo.
Oggi mentre uscivamo dall'asilo, lei, Bianca ed io le ho chiesto se potevo tenerla in braccio. Sono uscito con le mie due bimbe in braccio, più di venti chili e non ho pensato “cazzo che fatica”, ho pensato “mi mancherà. E succederà molto velocemente”.
In definitiva, non è abbracciandole o tenendole con voi quando hanno bisogno che sbaglierete.
Siete genitori, non sergenti maggiori.
Basta che mi chiamano, DEVO ANDARE.

mercoledì 3 ottobre 2012

Serve una miccia, solo che non c'è più.

Allora, oggi ero sul furgone con mio babbo che si parlava dello schifo in Italia. Abbiamo fatto due commenti.
Il primo è che adesso non c'è più pericolo di fare figure di merda a parlare di politica. Una volta, specialmente in certi ambienti, ci si muoveva cauti per capire se il nostro interlocutore la pensava come noi o meno, per evitare di parlare un ora ed essere d'accordo su tutto e poi scoprire che l'altro era “dall'altra parte”. Adesso non è più così, siamo tutti contro, tanto lo schifo è generalizzato e chi fa ragionamenti del tipo “più di qua o più di là” non gode della mia attenzione.
Il secondo ragionamento riguarda la quasi totale assenza di ribellione da parte di noi Italiani. Cioè, manifestano ovunque tranne che in Italia.Tanto la vignetta con la foto dell'Italiai in fila per l'iPhone con il confronto con la Spagna l'abbiamo vista tutti.
Ora, un furgone con mio babbo e me forse non è massima espressione dell'intellighenzia mondiale (avrei giurato che si scriveva intellighentia.....) ma credo che abbiamo elaborato un pensiero sensato.
Una volta tutte le grandi proteste, quelle che avevano portata diffusa, non quelle legate al disagio di una singola categoria, partivano sempre dall'Università.
Una volta chi frequentava l'Università aveva la leggerezza di chi ancora è fuori da un meccanismo lavoro-casa-famiglia-finemese-pensione, aveva la passione tipica di chi ha vent'anni, aveva valori ed era inserito in un ambiente in cui c'era fermento culturale.
Adesso l'Università si è impoverita, non è più un centro culturale di così grande portata, non è più il posto dove un ragazzo può trovare confronto e forza. La mia esperienza nel vecchio mestiere mi aveva già portato a notare come, per raggiungere un fine giusto e ammirevole, fosse stato utilizzato un approccio sbagliato: per rendere accessibile a tutti l'Università e creare maggiore diffusione di conoscenza e cultura era in realtà stata semplificata, a tratti banalizzata.
Credo che adesso manchi un centro culturale anche per accendere la miccia, ci vuole un ambiente in cui ancora ci possa essere leggerezza (io con due bimbe, la famiglia ed i debiti non riuscirei a mollare tutto e mettermi in gioco per portare avanti una protesta, sono onesto. Voi?) e servono menti pronte, con valori e voglia di provarci, ci vuole un po' di incoscienza con dei valori.
Io credo che se vedessi esplodere la protesta potrei supportarla, potrei seguire una marea se ne vedessi i giusti valori e obiettivi. Credo che in molti vorrebbero “andare a Roma” ma serve qualcuno da seguire e serve che questo qualcuno non sia un leader, fa troppa paura. Tutti vorremmoa ndare ma nessuno vuole partire.
Però, se ci fosse un gruppo di ragazzi che tutti noi guardiamo consapevoli che sono portatori di valori, di voglia e di cultura credo che in tanti potremmo seguirli. Poi una volta partiti....
Oggi ho anche pensato una roba che adesso mi mettono in carcere: ma se io arrivo a Roma e comincio a prendere a badilate un politico siamo sicuri che le forze dell'ordine mi fermano.
Non lo fate, però rispondetevi.

martedì 2 ottobre 2012

Un post di auto consapevolezza: proteggere e non difendere.

Quello che segue è un posto di auto-consapevolezza, di quelli che non vi diranno molto ma servono a me per sedimentare un comportamento, un atteggiamento, un modo di fare che voglio sedimentare.
Però voi leggetelo, mi raccomando.
Nel medioevo le città venivano circondate da mura e in cima a queste mura venivano messe delle feritoie che venivano usate per difendere gli abitanti con olio bollente, pietre e quant'altro potesse essere usato contro gli invasori.
Sapevo la foto di una scala sarebbe tornata utile
Avere un figlio è più o meno uguale, si può essere protettivi (mura di protezione) o difensivi (cannoni, olio bollente, pietre).
Io sono per essere difensivo, almeno come percezione. Ovvero quando Gaia si affaccia in cima alle scale per scendere mi verrebbe da prenderla in braccio e tenerla lontano da tutti i pericoli che potrebbe incontrare in quei dodici scalini: inciampi, cadute, mostri cattivi, spread, disoccupazione giovanile, Babau, uomo nero (o diversamente scuro), istituti di credito, vendite a rate e tutto quello che è pericoloso e che si può trovare lungo le scale.
Però mi rendo conto che è sbagliato. D'altro canto non posso neppure fregarmene e lasciare che la città venga depredata continuamente. Quindi mi sforzo, vi giuro che è una lotta continua, per essere solo protettivo: quando Gaia si affaccia in cima alle scale io mi metto 4 gradini avanti a lei pronto a proteggerla da un'eventuale caduta ma lasciando che metta in fallo un piede, che perda l'equilibrio, che si aggrappi alla ringhiera, che caschi sul sedere.
Pare poco ma quando avrete un figlio vi sembrerà più chiaro, specialmente i primi giorni quando riterrete impossibile togliere e mettere un body senza lussare una spalla o rompere delle dita. Fate presto a ridere adesso.

L'ho già detto in un altro post, la mia tendenza è quella di impedire che eventi casuali possano nuocere alle mie piccole ma ho capito che non è la strada giusta.

Allora ho pensato, tanto. Tanto perchè sono persona dai pensieri semplici e mi ci vuole tempo. Comunque, mentre pensavo mi è venuto in mente l'esempio della città fortificata ed ho pensato che le mura resistono anni mentre le armi, le pietre, l'olio spariscono. Quindi, se mi comporto come un muro di cinta e proteggo mia figlia senza difenderla lei allora mi terrà sempre con sé, non sarò qualcosa che sparirà, qualcosa di inutile, ma potrei diventare qualcosa di bello. Poi, quando si stancherà delle mura non dovrà far altro che trovare la porta ed uscire, le mura non sono in grado di seguire le persone ma sono lì ad aspettarle se serve (ok, adesso faccio il figo ma su questo passaggio dovrò lavorare.....già lo so).
Già, questa metafora (che meritava di finire in mani più decenti e diventare il titolo di un libro sulla puericultura) mi aiuta a ridimensionare il mio ruolo e mi ricorda di aspettare, di non intervenire ma di proteggere.

Bene, anche questa è fatta.